Trascorsi cinque anni dall’ultimo album Manzo Criminale e rimaneggiata un po’ la line up con gli inserimenti di Mizio (Whiskey & Funeral, Spectral Forest) e Pacio (Dr.Gore) esce, sempre per la Subsound Records, il terzo lavoro dei Buffalo Grillz. Con Martin Burger King i grinders romani proseguono la loro ironica battaglia contro la mcdonaldizzazione del mondo. Tanto che li si potrebbe credere, e probabilmente lo sono, un gruppo di comedy grindcore, se ci si basasse solo sui titoli delle canzoni (li trovate tutti nella tracklist in fondo). Il fatto è che poi di testi veri e propri non ce n’è e questo sottolinea un certo disimpegno della band nei confronti dei topoi del genere. Quelli concernenti a politicizzazioni e militanze per intenderci. Dall’altro lato la mancanza di testi, che qualora ci fossero stati sarebbero dovuti essere in qualche modo coerenti con i titoli dei brani, li libera da un’etichettatura che gli sarebbe stata troppo stretta, quella di band cazzona. Quando invece il loro messaggio è strettamente musicale. Niente anarchie, niente rivoluzioni, nemmeno sciocchezze, al più un’ammiccante e giocosa intertestualità. Per il resto i Buffalo Grillz preferiscono parlare con il loro grindcore tritaossa che li rende tra le migliori realtà di genere in circolazione.
I quattordici brani – l’ultimo, “Le bestie di Santana”, è un’elegante outro – non di rado si avventurano sorprendentemente oltre i due minuti. A volte i pezzi vengono introdotti da inserti audio che vanno dal pecoreccio al cartone animato (fa ridere molto l’aver ripescato il tormentone di qualche anno fa di quel ragazzino intervistato durante uno sciopero). La prima metà dell’album, fino almeno a “Carne Diem” – un frustata che presenta persino sentori di epicità – è impressionante. Sezione ritmica chirurgica, Cinghio (Hour of Penance), qui alla chitarra, appronta le sue cattivissime rasoiate deathgrind, che a volte sconfinano con naturalezza, tanto da essere perfettamente mimetizzate, persino nel melodic death, come nella titletrack ad esempio, e la voce sopra le righe di Tombinor (Undertakers) si muove sicura nei suoi cambi di timbro e crea stupende linee vocali. Come detto non siamo di fronte a rabbiose schegge impazzite di trenta secondi, e la cura dei dettagli e le strutture di pregio si notano eccome. Da “Fiat Factory” in poi si ha però come l’impressione che i Buffalo abbiano abbassato il tiro anche se non mancano pezzi dal gran piglio, “Cradle of Findus”, “Pus Springsteen” e “Ponzio Pilates” su tutti. E poi c’è quello scherzone di “Fiorella Mannaia”, con i suoi riferimenti improbabili, che finisce giusto nel momento in cui si crede stia per iniziare.
I Buffalo Grillz confermano di essere qualitativamente un gruppo di una spanna sopra molti, unici nel modo in cui trattano la loro materia e per l’immaginario che ruota attorno al loro monicker e capaci di stringere un inedito patto con l’ascoltatore. Martin Burger King, pur presentando qualche calo di tono, è una tappa obbligatoria per ogni ascoltatore di grind e death.
(Subsound Records, 2017)
1.GG Aulin
2.Lenny Grindvitz
3.66Seitan
4.Martin Burger King
5.Beverly Grillz 90666
6.Carne Diem
7.Fiat Factory
8.Cradle of Findus
9.Scooby Doom
10.Fiorella Mannaia
11.Ponzio Pilates
12.Campari Sodom
13.Pus Springsteen
14.Le Bestie di Santana