Prima di parlare del nuovo disco dei Leng T’Che è necessario fare una doverosa premessa. La band nacque nel 2001 da Sven “Svencho” De Caluve, storico frontman degli Aborted intenzionato a creare un side-project dedito al grindcore più feroce ed intransigente. I primi tre dischi del combo belga si attenevano tutti quanti alla formula di cui sopra ed erano risultati azzeccati e coinvolgenti portando la band ad emergere dall’underground locale, nel 2007 Sven abbandonò il progetto ed il quarto disco, intitolato Marasmus, mise in evidenza un cambio di sound verso lidi death/grind, pur rimanendo un disco valido ed interessante. L’ultima “mutazione” della band avvenne nel 2012 con un’ulteriore cambio di line-up che portò a non avere più alcun membro della formazione originale, a quel punto diedero alle stampe Hypomanic, un disco deludente e poco ispirato che si manteneva sul death/grind ma andava a contaminarsi con elementi a volte pescati dallo sludge a volte dal techno-death risultando pesante ed arzigogolato. Giunti ad agosto 2017 i Nostri hanno rilasciato Razorgrind, cosa aspettarci dunque da quest’ultima fatica?
Il nuovo album targato Leng T’Che pur avendo qualche strascico di Hypomanic guarda decisamente verso Marasmus, infatti si percepisce immediatamente un ritorno a formule più semplici ed aggressive, oltre ad un songwriting robusto e coeso che riuscirà a far breccia nell’animo dell’ascoltatore. Peccato per alcuni inserti in clean , decisamente evitabili che stonano con la struttura portante dei brani, in ogni caso questo platter è indubbiamente un passo avanti rispetto al suo predecessore. “Gundog Allegiance” apre le danze con un assalto frontale di puro grindcore scioriando riff affilati come rasoi, spostandosi poi dopo la prima metà su lidi death/grind carcassiani, “Spore” colpisce duro grazie al groove strabordante e ad alcuni breakdown massicci, il tutto rifinito da una sguaiata e belluina ferocia che ricorda i seminali Napalm Death. Brani come “Stentor of Doom” riportano in auge alcuni di quei suoni dilatati e sperimentali presenti in Hypomanic conditi purtroppo dalle precedentemente citate clean vocals; per fortuna dalla seconda parte in poi dell’album troviamo pezzi quali “Commitment Fail”, “Species. Path. Extinction” e “Guinea Swine” che scaldano nuovamente l’atmosfera risultando ispirati, feroci e diretti. Menzione d’onore per “The Red Pill” indubbiamente una delle migliori tracce del lotto che risplende di luce propria grazie a melodie creepy saggiamente dosate e a riff ispirati che di nuovo si rifanno alla scuola dei Carcass. La conclusione viene affidata a “Magellanic Shrine” pezzo di oltre sei minuti di durata che dà sfogo al lato prettamente death metal del combo belga risultando solido e perfetto per calare il sipario su Razorgrind.
Possiamo dunque promuovere senza riserve questo Razorgrind sperando che i Leng T’Che abbiano finalmente ritrovato una line-up stabile e che riescano a smussare alcuni evidenti difetti per poi approdare nuovamente, magari con il prossimo album, sui lidi del successo.
(Season of Mist, 2017)
1. Gundog Allegiance
2. Indomitable
3. Cibus
4. Spore
5. AnarChristic
6. Stentor of Doom
7. Redundant
8. Commitment Fail
9. The Red Pill
10. Species. Path. Extinction
11. Guinea Swine
12. Cirrhosis
13. I Am the Vulture
7.0