A due anni dal magnifico Revisionist ritornano i newyorkesi Sannhet con So Numb, in uscita per la Profound Lore. Ancor prima di procedere con l’ascolto, salta all’occhio un importante punto di contiguità tra i due artwork attraversati da una linea gialla orizzontale e caratterizzato da un’ossessione per la cecità, per l’occhio chiuso, tappato. Se in Revisionist era proprio la linea che sigillava gli occhi pazzi di Ofelia, qui viene invece presentato il racconto di una mamma che tappa con le mani quelli del figlio. Che poi, uscendo un po’ dal seminato, a voler leggere tale racconto con Freud e il suo saggio sul perturbante, Unhaimliche, la volontà di accecare spesso corre parallela, quasi ne fosse una metafora, a quella di castrare, immobilizzare. E allora quella madre della copertina, tragica come Ofelia, sarà una mamma archetipica, metafora di una Medea che nega la discendenza a Giasone, anestetizzandola e castrandola, non con un assassinio granguignolesco, come da tradizione, ma nascondendogli l’esperienza del mondo, della vita, incantandolo quasi, come solo una maga della sua statura riuscirebbe a fare. Siamo tutti d’accordo a questo punto che il discorso di So Numb, – un discorso in absentia, dietro le quinte, come la morte tragica dell’Ofelia di Amleto e Revisionist, dacché i Sannhet sono una band strumentale – pur non potendo pensare mai e poi mai l’album come un concept, ha un pensiero tragico che lo alimenta, vagamente radicato in un mondo anestetizzato, abitato da quell’umanità messa in scena nel videoclip di “Salts”, muta e impotente, la cui sola chance emancipativa risiede nella condizione di fratellanza, di destino condiviso, di mutua consolazione. Un mondo disuso all’esperienza del bello. Ecco allora che So Numb si staglia come una risposta atta alla ricerca e alla riscoperta del bello.
Il compito di buttar giù le prime pennellate con cui i Sannhet dipingono le proprie atmosfere tocca all’opener “Indigo Illusion” che entra tesa con un drumming ossessivo e si concede sempre più a trame che si infittiscono, giocando con le regole di un post-rock magniloquente, elegante, con sentiti picchi di pathos. E seguono ancora una strada con due binari, quella di un dinamismo ritmico, da un lato, e di sublimi e languide atmosfere, dall’altro, nella successiva “Sapphire” che si addentra in territori post-black, quello più orientato sul blackgaze, tanto che certi climax richiamano alla mente, per essere banali, gli Alcest, toccando note malinconiche eppur riuscendo a rivestirsi da un’aura di cristallina e tersa bellezza. L’impressione blackgaze trova maggior conferma nella titletrack, uno dei brani più avvolgenti, con un motivo, reiterato e ripensato a più livelli, che fa trasecolare. Ancora tra le gemme di So Numb, spiccano “Salts”, cui avevamo accennato più sopra, un singolo struggente, pregno di tensione, tra il post-rock, il trip hop e lo shoegaze, e “Fernbeds”, il brano più lungo e grigio, distopico, si svela lentamente con sinuose progressioni e una conclusione che lascia un senso di lacerante incompiutezza. Poi, ad essere onesti, si fa un po’ di mestiere. “Way Out” ha un buon piglio ma per certi versi è troppo simile alla titletrack mentre “Secondary Arrows” ci lascia addosso solo un gran senso di abbandono e solitudine.
Con So Numb i Sannhet hanno forgiato un altro gioiellino, denso di deliziosi ricami e ricco di atmosfere sublimi, una continua ricerca del bello, il loro modo di accettare la tragicità della vita probabilmente.
(Profound Lore, 2017)
1.Indigo Illusion
2.Sapphire
3.So Numb
4.Fernbeds
5.Salts
6.Way Out
7.Secondary Arrows
8.Sleep Well
9.Wind Up
7.5