Lorø hanno dato alle stampe quest’anno il loro secondo disco Hidden Twin (recensione qui) e seppur con un lieve ritardo li abbiamo disturbati con le nostre domande. A voi il divertente ed interessante risultato. Buona lettura!
Ciao ragazzi, partirei parlando un po’ della genesi dei Lorø.
Riccardo: Ciao, innanzitutto, grazie per lo spazio che ci state dedicando. La genesi dei Lorø comincia con Mattia che commenta il suono della chitarra che suonavo in un progetto precedente a questo. Diceva che sembrava un synth, da lì ad affiancarla ad un synth vero il passo è stato breve e Boniz era il battero più figo del circondario a cui chiedere di unirsi all’evolversi della faccenda.
Boniz: Rispondo in rima “Non ho altro da aggiungere su questa faccenda… tutto è vero e il resto… leggenda. Yo Yo mutafaka”
Mattia: Riccardo e Boniz avevano già cominciato a provare insieme ed io visitavo per capire il “mood” della situazione. Le prime prove che feci furono con un sintetizzatore in prestito. L’idea principale era di unire l’elettronica ad un genere decisamente rivolto agli strumenti a corda pizzicati.
Col precedente self-titled vi era una bella amalgama di math ed elettronica, a questo giro invece con Hidden Twin il tiro è più sfrontato ed immediato. Scelta ragionata o sviluppata naturalmente?
R: Di sicuro, mi son imposto fosse diverso dal precedente, per non ripetersi, per quanto coerente alla formula. Ringrazio Boniz per la pazienza perché, più volte è capitato di metter giù nuovo materiale in sala prove, ma per diverso tempo la sentivo una forzatura e me ne uscivo con “esercizi di stile” che poi cestinavo brutalmente perché li sentivo privi di contenuto. Nel mio piccolo tendo a ragionare, rimuginare e analizzare ciò che era stato fatto con il s/t. Anche molte altre cose non strettamente correlate ai Lorø han contribuito nel bene e nel male alla maturazione dell’incipit di Hidden Twin. Posso comunque assicurare che una volta messa a fuoco la direzione, il tutto è sfociato in maniera liberatoria, spontanea e naturale. A monte, tra noi, una dichiarazione d’intenti c’è effettivamente stata, ovvero non voler strafare dal punto di vista compositivo a scapito dell’impeto dei pezzi. Anche per godersi poi appieno il live con la mente più libera da labirinti mnemonici legati a cambi tempo o sequenze improponibili di pedali da schiacciare e risettare.
B: Come dice Riccardo abbiamo deciso a tavolino (sacrilegio ai tempi d’oggi…) di optare per composizioni più dirette, mettendo da parte le lauree in mathematica applicata alla composizione per un approccio che ci permettesse anche di assaporare molte più birre medie pre-concerto senza sentirsi poi tesi.
Già avevate un bello spettro d’influenze con l’esordio e stavolta mi pare si sia ulteriormente allargato. È ad esempio facile notare le influenze più “metal” e quadrate e la soppressione di certi exploit più atipici che avevate invece sfoggiato sul precedente lavoro. A chi dobbiamo la colpa?
R: siamo diversi da quelli che eravamo tre anni fa e questo si è fatto sentire. Nella fase compositiva, abbiamo cercato di non perdere l’impulsività della prima bozza, snaturandolo con mille modifiche e riarrangiamenti come, almeno io, sarei solito fare. Da qui immagino escono le influenze metal che senti ma che non sono mai mancate nel nostro background. Strutture e scritture più lineare han fatto si che emergessero delle sfaccettature più intense che potevi perderti in qualche “fraseggio serrato” del disco precedente. Si è anche creato lo spazio per delle linee di voce, e son soddisfatto della strada intrapresa; son contento che abbiamo creato qualcosa di più ispirato che complicato.
B: Più passa il tempo, più spaziano gli ascolti e più entrano inconsciamente nel vocabolario musicale di ognuno di noi loro. Questa volta però a livello personale ho cercato di farmi meno seghe mentali e suonare esclusivamente a supporto del pezzo senza voler strafare… credo sia la linea da seguire sempre. Sono soddisfatto delle mie parti e dal vivo riesco a riprodurle fedelmente senza tante crisi di identità!
M: A parte il lavoro compositivo vi è stata una evoluzione sonora sia per la chitarra che nelle parti di elettronica. La direzione di Riccardo si è spostata a mio avviso verso un suono meno chiuso e più facile da gestire; inoltre gli arrangiamenti meno cupi aiutano il risultato finale, ma non saprei dire da chi siamo stati influenzati.
Avete già avuto occasione di sperimentare dal vivo i pezzi nuovi, come suonano secondo voi?
R: Qualche aspetto è sempre migliorabile, ma la resa dal vivo evolve e si perfeziona strada facendo, ci stiamo veramente divertendo e finora abbiamo avuto la possibilità di presentarci in splendide situazioni il che, è un ottimo punto di partenza per dar il meglio che si può e migliorare concerto su concerto.
B: Dai pochi pareri che ho sentito fino ad ora credo che il risultato sia buono. Dobbiamo ancora prendere dimestichezza con alcuni aspetti del live. Luci, fumo, voce, samples cazzi e mazzi … sono novità per noi, quindi necessitano di un piccolo rodaggio. Personalmente quando suono i nuovi pezzi godo forte comunque.
M: È decisamente liberatorio il momento del live: adoro vedere e sentire come Riccardo abbia introdotto la voce, a mio avviso azzeccatissima. Fino ad ora il godimento è stato molto … sarebbe interessante provare a suonare all’aperto, il risultato sarebbe diverso.
Ora vorrei farvi una veloce domanda in merito ai suoni che usate. Per ottenere queste stratificazioni sonore e questi suoni decisamente low-fi vi servite di molti effetti o è il sapiente utilizzo di qualche selezionato pedale a fare lo sporco lavoro? Qualche dritta per chi volesse intraprendere un sound simile?
R: Se un riff ti suona bene ed ha tiro, la strumentazione che usi ha un valore marginale. Io cerco di ritrovar nei mix le sonorità quanto più fedeli a come le sento in sala prove, semplicemente suonate un pò più a puntino.
B: Smentisco quanto detto sopra da Riccardo e svelo che il segreto è di un pedale esclusivo. Fa tutto lui il lavoro.
M: Riccardo dice bene, ma omette la ricerca del suono che è fondamentale. Non mi piace l’idea di tradurre questo in una manciata di marche, suoni simili sono ottenibili con strumenti differenti, e se poi siete interessati a leggere i nomi degli strumenti venite ad ascoltarci dal vivo. Questo comunque non assicurerà di ottenere gli stessi suoni.
Per quanto riguarda il lavoro compositivo come vi ripartite il lavoro?
R: per la maggiore, partiamo da dei riff di chitarra, per questo disco abbiamo lavorato molto sulle pre-produzioni che evolvevano di pari passo alla stesura dei pezzi, questo ci ha permesso di ottimizzare i tempi, spiegar meglio le idee tra di noi e annullare le distanze (Mattia vive da un paio di anni a Brema)
B: Abbiamo composto i pezzi su Logic e ci siamo trovati bene perché nel modo classico abbiamo capito che non riusciamo a spiegarci e si perde una valanga di tempo. Il prossimo passo quale sarà dico io… gli spartiti?!
M: Solitamente si parte dalle chitarre… anche io passo idee registrate sia con chitarra che con “pianoline” per poi sviluppare le idee che a tutti interessano.
Quanto risulta condizionante essere un power trio? Vantaggi e svantaggi?
R: Quando si è in tanti ti senti forte poiché sei in “branco”, se fai una cappella la mascheri sicuramente con più facilità, ma in tre hai altri vantaggi, riesci a far dei check più brevi ad esempio. Credo che già la line-up con cui si forma un gruppo determini “il sound” dello stesso, mi è difficile pensare ai Lorø con due persone all’elettronica, due chitarre un basso e un percussionista ausiliario.
B: Sono d’accordo con Riccardo. Gioie e Dolori diviso tre è sicuramente diverso da Gioie e Dolori diviso cinque. Formazione a tre è logisticamente e democraticamente perfetta.
M: la formazione per certi versi è la composizione stessa, se fossimo di più o di meno non saremmo più Lorø.
Il nostro paese ha per fortuna in ambito musicale una buona storia in ambito di sperimentazione. C’è un/qualche gruppo o artista che ritenete importante in termini d’ispirazione?
M: Zu, Morkobot, oVo son sicuramente i nomi che mi balzano alla mente con più facilità.
B: ZU.
M: Per certi versi gli Area ed altri compositori della storia della musica elettronica che hanno solo ispirato: penso a Luigi Ceccarelli e a Elio Martusciello ed altri che sono grandi compositori, ma ahimè non conosciuti come sarebbe giusto.
Tra i nomi italiani odierni c’è qualche progetto che ritenete particolarmente degno di nota?
R: Apprezzo moltissimo, sia come musici che come individui Hate&Merda, Hyperwulff, Haram… Immagino di aver una predilezione per i gruppi che si chiamano con l’acca.
B: In Italia c’è veramente roba validissima: Lento, Messa, Ornaments, Viscera///, Ufomammut, H&M, Dolpo… Levante.
M: Non potrei che unirmi ai nomi già citati e aggiungerei Caterina Barbieri, Razgraad e Mario Guida.
In futuro sarei molto curioso di vedervi alle prese con una collaborazione. C’è qualche nome che vi gusterebbe particolarmente?
R: a featuring nei pezzi ci avevo pensato ma non abbiamo portato avanti nulla oltre l’idea, per collaborazioni vere e proprie ammetto che non c’ho mai pensato.
B: Farei una bella collaborazione con Levante.
M: a mio avviso sarebbe davvero bello pensare ad un progetto dove la band sarebbe una sorta di orchestra che suona live e collabora con altre realtà, ad esempio con forme estreme di teatro/danza, video in modo da dislocare il “concerto” e usare la musica in modo diverso. Collaborare con altri artisti sarebbe davvero molto stimolante, ma non so se vorrei per forza farlo con altri musicisti.