Fed Into the Nihilist Engine, uscito a due anni dal debutto Welcome to Nothing, vede il quartetto britannico dei Grave Lines perseverare nella propria visione sonora a base di un doom metal mai ignorante e fine a sé stesso, che predilige altresì un approccio compositivo comprendente anche elementi estranei al contesto (Anathema e Paradise Lost su tutti specie nelle vocals melodiche).
I brani scorrono bene, fluidi, potenti e massicci con il giusto groove e godono di un’importante peculiarità: non annoiano. I due monoliti posti ad inizio e fine album, rispettivamente “Failed Skin” e “The Nihilist Engine” lunghi entrambi oltre i 10 minuti, godono di un mix equilibrato di potenza, melodia (spesso cupissima e dilatata) e violenza. Grazie alla tecnica più che buona, la band sciorina delle tracce asciutte ed essenziali, che puntano direttamente al sodo come nella quadrata “Silent Salt” o nella putrida e sludge-oriented “Self Mutilation by Fire and Stone”, con vocals aggressive ed un finale disturbante. Uno dei problemi del disco, se così si possono definire, è la presenza di brani “intermezzo” che forse potevano essere inseriti all’interno delle canzoni più lunghe come l’acustica “Shame-Retreat” dalle tinte nerissime, “Lost Betrayal” con una sfiziosa ospite femminile alle vocals o la breve ma intensa “Guilt-Regret”. Si potrebbe azzardare che la musica pecchi di originalità e che non riesca ad andare oltre certi stilemi, ma a volte non serve poi così tanto per emozionare: la gemma sonora “Loathe-Displace”, con i suoi synth che ricordano i Depeche Mode più oscuri, è lì a strizzare l’occhio all’ascoltatore più esigente.
Fed Into the Nihilist Engine è un album solido e senza particolari pecche che appassionerà tutti gli amanti di sonorità plumbee e lente. Si spera però che nel prossimo album la band approfondisca ulteriormente le idee espresse. Ottimo lavoro!
(New Heavy Sounds, 2018)
1. Failed Skin
2. Shame/Retreat
3. Self Mutilation by Fire and Stone
4. Loss/Betrayal
5. Silent Salt
6. Loathe/Displace
7. The Greae
8. Guilt/Regret
9. The Nihilist Engine