Non sappiamo se a svegliarci sia stata la malinconia dell’ultimo giorno, la curiosità verso la terza tornata di band, l’attrazione magnetica verso gli arrosticini o il caldo di una tenda divenuta un microonde. Fatto sta che ci alziamo presto, verso le 12, facendo spola tra la zona relax e il bar fino all’orario di inizio dei live per riprendere le forze. Le due giornate precedenti (che vi abbiamo raccontato qui e qui) ci hanno immerso nell’atmosfera piacevolissima del Frantic Fest e ci sentiamo ormai a casa, se non fosse che a casa nostra non suonano i The Secret, non c’è un bar aperto h24 e soprattutto non c’è LG Petrov. Con questo spirito ci affacciamo alla terza serata, quella di sabato 18 agosto, che ha visto avvicendarsi esibizioni del tutto diverse per immaginario, contesto e intenzioni, ancora una volta con estrema scorrevolezza e con grande partecipazione: gli Entombed A.D., gli Zu e King Dude (per restare nella parte alta della scaletta) rappresentano solo alcune sfumature di una maratona di concerti molto variegata. L’ultima giornata del Frantic Fest è stata anche quella più italiana, che tra conferme e sorprese traccia un quadro positivo, anche se breve, dello stato di salute della nostra scena. Di seguito, dunque, il racconto del rush finale. Foto a cura di Benedetta Gaiani. Report a cura di Francesco Paladino e Francesco Orlandi.
Frantic Fest 2018
Tikitaka Village, Francavilla al Mare (CH)
Day 3 – 18/08/2018
Ad inaugurare l’ultima giornata del Frantic è un poker d’assi tutto italiano. Primi i torinesi NOISE TRAIL IMMERSION, autori di un blackened mathcore sinistro, ossessivo e spasmodico, forse poco adatto al contesto di open air pomeridiano. In effetti, avendo visto la band in azione al chiuso allo scorso GOTR Fest possiamo affermare che qualche sfumatura viene persa in questo giocare fuori casa, ma comunque i cinque appaiono ben sicuri di sé e mettono a segno una performance intensa. Oltre a una grande perizia tecnica, colpiscono per una personalità già definita malgrado la giovane età, che porta a vivere in maniera trascinante il momento musicale, voltando spesso le spalle al pubblico, quasi a chiudersi in sé. Lo spazio antistante al palco non è ancora debitamente affollato ed è un peccato, perché i Nostri dimostrano stoffa da vendere: il secondo album è in cantiere, ne sentiremo parlare presto.
Dopo qualche minuto di assestamento i LENTO aprono le scene sul main stage con il loro sludge/post metal strumentale di grande effetto. Per chi vi scrive la resa live dei “nuovi” (considerando la vecchia formazione a sei elementi) Lento era già stata una clamorosa e rumorosa conferma sul palco del Krakatoa Fest II dell’anno scorso. A questo giro, in quanto primi calcatori del main stage nell’ultima giornata del Frantic, le dimensioni del palco e l’ambiente aperto non paiono giovare troppo al trio romano. In primis, e ben si capisce, la sfortunata posizione in un orario col sole pomeridiano a picco sul palco, ma in ogni caso i Nostri, stoici e indefessi, non demordono e non danno segni di stanchezza. Unico particolare negativo di uno show sempre e comunque degno, salvo i volumi meno asfissianti (secondo noi è in locali chiusi e più piccoli che la band dà il meglio), è stata l’equalizzazione del suono, molto secco ed incentrato sugli alti, e qualche problema di volume del basso, apparso pompato solo verso la fine della performance. Nulla di eclatante comunque, infatti i brani proposti dall’ultimo, ottimo, Fourth restano dei macigni di sludge strumentale mischiato col math rock in una formula unica ed altamente godibile: i musicisti si trascinano in una sorta di trance per mezz’ora di suoni granitici e ansiogeni, tra i quali di tanto in tanto si inserisce qualche passaggio in blast beat che rende la performance più dinamica.
Tutt’altra atmosfera per lo show degli SLANDER, che seguono a ruota sullo small stage. I paladini di Venezia Hardcore sono garanzia di pura adrenalina con il loro fare scanzonato che non può lasciare indifferenti, e non è un caso che si siano ormai accaparrati un posto di tutto rilievo nel panorama hardcore nazionale. Invero un po’ costretti dagli spazi contenuti, i Nostri fanno di tutto per coinvolgere un pubblico che pare vagamente distratto, ma entra nella giusta forma mentis in breve tempo generando la solita baldoria sottopalco. La scaletta è una mitragliata di brani pestatissimi, senza respiro se non in qualche sporadico breakdown, dall’appeal metallico (“Bad Weather”) e spesso votati al sing-along (“Never Enough”), tra i quali fa capolino anche una cover dei Danny Trejo. E’ impossibile non farsi coinvolgere da quest’aria di sana cazzonaggine: gli Slander fanno spettacolo, anche se alle 19 e solo per mezz’ora, e per quanto sia lecito, nella vita, evitare il divertimento, di tanto in tanto ci si può anche lasciar andare.
Ancora un cambio di atmosfera: chi scrive non fa mistero dell’hype per la prossima formazione italiana di cui tutti dovremmo andare orgogliosi. Concerti in tutto il mondo, contratto con la Southern Lord e un sound unico e spietato, non serve altro per rendere giustizia ai THE SECRET. I trentini si presentano sul main stage e dopo un breve soundcheck, anticipati da un preludio strumentale, danno vita ad una delle performance più violente di tutto il festival. Il pubblico sotto al palco è intento ad osservare e ammirare i Nostri fare fuoco e zolfo, creando la quasi surreale atmosfera di devozione e la mancanza di un vero e proprio pogo, effetto sempre particolare date performance così belluine. Il tutto però, considerando il sound oscuro e pesantemente impregnato di black metal dei nostri (a partire da Solve et Coagula, rinascita vera e propria dei triestini) e i richiami all’occulto, non stona e crea un vero e proprio unicum per queste tre giornate. Pezzi alterni tra il già citato Solve et Coagula, Agnus Dei e l’ultimo, più lineare sforzo Lux Tenebris portano devastazione e terrore nelle terre abruzzesi, e a noi uno splendido ricordo per una performance tanto attesa che non ha deluso.
In una strana alternanza di atmosfere, dopo questo momento plumbeo è il turno di una band di assoluti fulminati, i BIRDFLESH. Con il loro party grindcore, le loro maschere bizzarre e i loro grembiuli da massaia pare di stare all’Obscene Extreme e invece siamo ancora a Francavilla al Mare: inutile dire che sotto al palco dello small stage la situazione sia del tutto degenerata, fra gente che accenna passi di danza classica e individui mascherati da cavallo. In realtà gli svedesi non tralasciano la componente musicale, sparando una raffica di brani che picchiano fortissimo, schegge impazzite che raggiungono direzioni equivoche. Sanno suonare molto bene – il batterista Smattro Ansjovis si occupa anche delle vocals con ottimi risultati – ma il loro mondo assurdo è fatto di umorismo macabro e nonsense, e tra una “Caligoulash” e una “Alive Autopsy” (“Taken from the album Alive Autopsy, it talks about an alive autopsy”) possiamo dire che va benissimo così. Per farsi un’idea, segnaliamo questo video che documenta l’esperienza del trio svedese al fest, comprendente un siparietto con Samall degli Slander e l’eroe nazionale Petrov: anche questo è il Frantic, e a rivederlo scende quasi una lacrimuccia di nostalgia.
Altro e ultimo orgoglio italiano a calcare il main stage sono i romani ZU, alfieri di un modo unico d’intendere la musica ed una storia personale da fare invidia a tanti. Nota di merito, la possibilità di vederli in questa occasione nella formazione originale Pupillo, Mai e Battaglia. Poche parole possono descrivere l’esperienza ZU dal vivo, se non: mostruosi, inumani e certosini. Pescando abbondantemente dal cavallo di battaglia Carboniferous e anche dal resto della corposa discografia con Battaglia, i Nostri portano tecnicismi e sperimentazione senza temere il confronto con gruppi più “estremi”, perché come chi ha già potuto assistere ad un loro concerto, il muro sonoro di questo trio non teme confronti con nessun altro. La precisione chirurgica e jazz di Battaglia, unita ai dinamismi fuori tempo del sax baritono di Mai e le tessiture non convenzionali del basso di Pupillo danno vita ad uno spettacolo nello spettacolo, lasciando anche molti sbalorditi dalla naturalezza con cui il trio fa uso di tecniche, contro tempi e disparità disumane. A parere di chi scrive, oggettivamente a pari merito coi The Secret, ma per motivi vari di poco superiore, l’esibizione degli ZU si aggiudica il titolo di migliore del festival. Necessario oltretutto citare l’ottimo lavoro dietro al mixer di Stecconi (chitarra e mente dei Lento), capace di enfatizzare in maniera unica ogni singolo elemento di questo ostico trio italiano. Nota a margine: nonostante le differenze stilistiche e attitudinali con il resto della line-up, fa piacere vedere il metallaro duro e puro e il punk con la cresta verde intenti ad ammirare l’operato di una band come gli ZU, in totale trance. Come dicevamo sopra, anche questo è il Frantic Fest.
Siamo dunque alle battute finali della giornata e dell’intero fest: a chiudere le esibizioni sullo small stage è Thomas Jefferson Cowgill, aka KING DUDE. Il cantautore statunitense si presenta in elegante giacca nera, capelli laccati all’indietro e sigaretta alla mano. Nonostante l’aura da cantautore maledetto si concede diversi momenti per dialogare con il pubblico, non lesinando battute (anche una piuttosto ambigua sul fascismo) e gag – durante la sua esibizione gli Entombed A.D. svolgono il soundcheck, e lui si interrompe un paio di volte – ma anche redarguendolo quando il brusio aumenta di volume. Ciò dovrebbe far parte del suo personaggio spavaldo e guascone, ma sarà la stanchezza, sarà l’enormità di stimoli che ci distrae, non lo capiamo e non lo apprezziamo. Peccato, perché questo neo-folk che affonda le proprie radici nel blues e nel country più oscuro è veramente interessante, e in effetti il pubblico, numeroso, canta i brani e applaude il cantautore alla fine del set – il quale, tra l’altro, se i conti non ci ingannano dura un po’ meno del previsto. Malgrado sia poco appropriato fare confronti diretti, quello con Rome nasce spontaneo, data la vicinanza degli show: ci sentiamo di dire che quella del lussemburghese, visto in azione giovedì 16, è tutt’altra classe.
Dopo una fortunata pausa di qualche minuto, che ci dà il tempo di sederci e di farci assalire dalla consapevolezza del fatto che siamo agli sgoccioli, gli ENTOMBED A.D. si impadroniscono delle scene. Chiamati pochi giorni prima del festival in sostituzione dei The Exploited, assenti a causa di problemi di salute del frontman Charlie Watts, gli svedesi hanno arraffato lo scettro di nome più blasonato del bill. O almeno la prima parte del proprio nome lo è, mentre quell’”A.D.” ci ricorda che della formazione storica degli Entombed è rimasto solo LG Petrov. Ad essere cattivi la si potrebbe considerare poco più che una cover band di lusso, anche se con l’attuale moniker i Nostri hanno pubblicato due album che sì, non sono capolavori, ma neanche dischetti da novellini. In effetti i brani tratti da Back To The Front e Dead Dawn fanno la loro figura, specialmente in mano a una band di alto livello, ma non c’è da stupirsi se maggior parte della scaletta è orientata verso i classici. E quindi cover band (forse) sì, ma sentire “Revel In Flesh”, “Wolverine Blues” o “Left Hand Path” in questo contesto, suonate con un tiro micidiale e ruggite dall’alcolico frontman è proprio un’esperienza. Petrov è stato protagonista di un pezzo di storia di musica estrema e sarebbe da malfidati negarlo, come sarebbe da automi starsene sulle proprie quando lui è lì a zampettare da una parte all’altra del palco come un quindicenne. Poi, in sé, la materia musicale è irresistibile, con quei mid-tempo che hanno fatto scuola e le accelerazioni selvagge da botte sul muso, e in effetti il pubblico è in vero delirio: lo spettacolo ideale per concludere il festival come si deve.
In questo frangente facciamo mente locale e notiamo una grandiosa atmosfera di relax e divertimento, una serenità avvertita di rado anche in concerti più piccoli. La band è al massimo e la gente pure, durante “Eyemaster” dal centro cittadino sparano pure i fuochi d’artificio, e pensiamo che qui al Frantic si sta davvero bene. I ragazzi dell’organizzazione si sono fatti in quattro per mettere in piedi, dal nulla, un evento del genere, in cui il tutto è, alla fine, più grande della somma delle singole parti – ci si perdoni il cliché, ma questa massima esprime bene il concetto. Insomma, ci aspettavamo un gran festival e il risultato è stato persino più soddisfacente, davvero nulla è andato storto e nulla ci ha deluso in questa tre giorni, dal punto di vista squisitamente artistico come da quello pratico del ristoro e del campeggio. Non possiamo, quindi, fare altro che unirci al plauso generale che è stato riservato agli organizzatori, nella speranza che il Frantic si confermi come un evento di punta e raggiunga i canoni dei grandi appuntamenti europei senza snaturarsi. E, perché no, che serva da scintilla per altre zone del Paese che si trovano a un passo dal gettare la spugna.