Quando si parla dei Pelican gli ascoltatori della prima ora hanno sempre un brivido che corre dietro la schiena: una lenta ma inesorabile iperbole verso il basso iniziata con il loro terzo lavoro pare non fermarsi mai. Detto questo, nonostante la defezione di Laurent Schroeder-Lebec (storico chitarrista del gruppo), c’era ancora qualche buona aspettativa nei confronti di Forever Becoming.
Il disco parte con l’atmosfera buia e malinconica di “Terminal” – che poi sfocia in “Deny the Absolute” – quasi a riproporre pari pari le sonorità di What We All Come to Need, quindi con riff potenti che non tralasciano la melodia. Stessa sensazione con “The Tundra”, dove non manca la potenza ma vengono riproposti stilemi ampiamente abusati. Fortunatamente continuando l’ascolto le cose cambiano, i brani diventano più umorali e per certi versi il suono torna a farci ricordare i paesaggi sonori dell’oramai irraggiungibile The Fire in Our Throats Will Beckon the Thaw (album per altro all’epoca sottovalutato da buona parte della critica indie). Il riferimento avviene con costruzioni interessanti come in “Threnody” e “Immutable Dusk”, in cui non ci sono i banali climax tipici del post-rock e nemmeno ostentazioni di potenza con i soliti riff, ma una trama sonora complessa e articolata. “The Cliff” con i suoi inserti acustici rimanda efficacemente all’EP Ataraxia/Taraxis. Infine “Perpetual Dawn” è sicuramente un buon brano di chiusura con il suo crescendo finale.
Complessivamente assistiamo a un parziale rientro in carreggiata per i Pelican, che però devono trascinarci di più in quanto in molti pezzi si sente molto mestiere e poco cuore. Un album di transizione quindi, propedeutico a qualcosa di nuovo che dovrà essere più organico e sentito.