Proporre in due anni consecutivi due lavori come The Revolt Against Tired Noises (2018) seguito dall’imminente Macedonian Lines è un traguardo significativo per qualsivoglia band. Lo stupore è accresciuto se ad essere coinvolti sono gli Yawning Man, che hanno messo insieme il sopracitato nuovo LP pubblicando due anni su due dall’entrata nel roster di Heavy Psych Sounds Records, dimostrando quanto questa collaborazione sia ad oggi efficace e rappresenti un terreno fertile per la band originaria di La Quinta, sud della California. La rilevanza storica che il trio statunitense ha assunto nel corso degli anni, a partire dal 1986 (anno in cui venne presentato uno tra i tasselli fondamentali del desert rock, rappresentato dalla demo tape The Birth of Sol) è aumentata fino a divenire d’importanza iconica nel suddetto genere, passando per i fasti dei generator party nel deserto di Palm Springs e facendo parte della scena musicale orbitante attorno al Rancho De La Luna, nominando solo alcuni tra i crediti storici che attribuiscono al trio californiano il titolo di padrini del panorama desert/stoner rock. Difatti quella degli Yawning Man è una strada percorsa autonomamente e controcorrente rispetto alle produzioni grunge e post-punk che hanno caratterizzato il catalogo delle uscite californiane tra la metà degli anni ’80 e degli anni ’90, facendo sviluppare alla band uno stile musicalmente unico ed assolutamente caratteristico che negli anni è mutato spontaneamente quanto basta per tenere alto il livello d’interesse anche per chi ha digerito la loro intera discografia più e più volte, seppur senza snaturare l’essenza autentica di cui vive la band, principalmente formata da uno stile compositivo cinematico, un riffwriting organico e melodico che si interseca con sezioni distese che dipingono sconfinati panorami sonori la cui spontaneità espressiva senza compromessi lascia immergere l’ascoltatore in una dimensione a sé stante, avvolgendolo tra le suggestioni e gli echi del deserto californiano.
Il 14 giugno 2019, tramite la sopracitata Heavy Psych Sounds Records, uscirà quindi Macedonian Lines, secondo studio album prodotto nell’arco temporale 2018-2019, segnando quindi un avvenimento piuttosto rilevante, specialmente analizzando la discografia del trio statunitense, segnata da un inizio rarefatto e da una produzione odierna quantomeno abbondante in relazione agli svariati anni trascorsi tra la l’uscita delle prime release, considerando oltretutto che dalla demo tape The Birth of Sol (1986) al primo full-length Rock Formations (2005) passarono ben 19 anni (seguiti dall’isolato, fino ad oggi, caso degli iconici Rock Formations e Pothead, entrambi rilasciati nel 2005).
Il viaggio tra i mesa desertici ed i Joshua tree qui proposto comincia con il sample di un elemento ritmico, proposto dai primi istanti della opening track “Virtual Funeral”, in cui presto si inseriscono gli inconfondibili fraseggi di chitarra di Gary Arce, che fin dagli albori della band, nonché in questo disco, spiccano per creatività, espressione e dinamica, creando momenti in cui le sue linee melodiche vengono quasi celate nella distesa di ampi riverberi e delay di cui si avvalgono al fine di generare, metaforicamente, una ventata di aria fresca notturna, che soffia tra le rocce del deserto. Appunto le peculiari linee di chitarra di Arce anche in questa release trovano spazio per essere espresse al meglio e riguardo proprio alla dinamica della chitarra è da interpellare il Gatos Trail Studios (Joshua Tree, California), che, come di consueto, è riuscito egregiamente nel per nulla banale compito di catturare l’alchimia creata dalla band, lasciando però il dubbio riguardo una chitarra talvolta troppo bassa di livello rispetto ai restanti elementi dei brani. Un’elemento inaspettato di questo LP è il pianoforte inserito in molteplici brani, svolgendo esso la funzione di rinforzo timbrico al basso di Mario Lalli, il quale nel quadro compositivo dei brani risulta stendere le robuste fondamenta del sound della band, supportando il suono di leggero overdrive riverberato della chitarra di Gary Arce con un suono pieno e risonante, talvolta entrando, sempre pertinentemente, nel territorio del fuzz e del marcato overdrive, come nell’eccellente caso del brano “Bowie’s Last Breath”, ovvero il ponte di collegamento tra la prima e la seconda metà del disco. Il basso quindi crea un binomio ben articolato sia a livello di suono sia strutturalmente, divenendo indispensabile per le linee melodiche a tratti impalpabili sviluppate dalla chitarra di Arce, avvalendosi di soluzioni armoniche e ritmiche di assoluta creatività e di autentica interpretazione personale, ora sviluppando frasi a sé stanti, ora suonando accordi distesi e saldamente ancorati al terreno ma che comunque seguono più che adeguatamente l’espressione dinamica proposta dal resto degli dei sei brani di Macedonian Lines. La sezione ritmica viene completata dalla batteria (oltre che da alcuni altri elementi percussivi) di Bill Stinson, facente parte parte della line-up dal 2011, ma che insieme agli altri due membri mesce un’alchimia di suoni ed atmosfere che, per intesa e pertinenza, potrebbe benissimo risalire a tempi ben più remoti, adempiendo al compito per nulla banale di dosare oculatamente ritmiche e dinamiche di batteria a supporto di un paesaggio sonoro che, nell’insieme dei suoi elementi, risulta tanto vasto ed etereo quanto concreto e tangibile, superando brillantemente le barriere che normalmente verrebbero imposte sia da un fronte che dall’altro, esattamente come solo le band di grande esperienza e di indiscutibile gusto sanno fare.
Durante i suoi 31:11 minuti di playtime Macedonian Lines è un LP che riprende ognuno dei tratti caratteristici del trio californiano e rende giustizia ad ognuno di essi nonostante non vengano espressi nella formula del full-length, ed oltretutto riesce anche nello scopo di essere un disco vario e ricco in termini di contenuti, al pari di un formato più lungo nel minutaggio, rendendo quest’ultimo opus delle leggende del desert rock un opera tanto inaspettata quanto già di assoluto rilievo, inserendosi in una discografia colma di perle e release cult del genere. Sarebbe stato irrazionale aspettarsi un passo falso dagli Yawning Man, band che ha influenzato ed ancora oggi continua a ribadire la sua presenza, stabilendo tuttora quali sono i canoni e gli stilemi del genere, vivendo, con la collaborazione d’eccellenza di Heavy Psych Sounds Records, un periodo che ad oggi sembra essere fulgido e prolifico per la band. A distanza di un anno dal meravigliosamente accolto The Revolt Against Tired Noises il trio produce un disco dalla grande fruibilità, sia per l’ascoltatore veterano che per il novizio, e che dimostra lo stato di assoluta salute artistica di una band che ha ormai raggiunto lo stato di leggenda, non si limitandosi però a vivere degli echi di un glorioso passato ma che puntualmente produce, si rinnova e influenza le nuove leve. Traccia preferita: “I’m Not A Real Indian (But I Play One on TV)”
(Heavy Psych Sounds Records, 2019)
1. Virtual Funeral
2. Macedonian Lines
3. Melancholy Sadie
4. Bowie’s Last Breath
5. I’m Not A Real Indian (But I Play One on TV)
6. I Make Weird Choices