Gli Inter Arma non dovrebbero avere bisogno di tanti preamboli. La band di Richmond è arrivata quest’anno al quarto full length, Sulphur English, uscito sempre per Relapse.
E’ un album che però, stavolta convince a tratti, sicuramente nella seconda metà dell’album. Dalla delicatezza di “Stillness”, brano legato a filo doppio con il singolo “Howling Lands”, in poi gli Inter Arma sembrano riassestarsi sui livelli dei loro migliori lavori, riuscendo organicamente, con mimesi, ad essere quella belva ancestrale che, ottusa, si attorce su se stessa, dilaniata dalla sua stessa esistenza. Con opaco lirismo, eruttando fiotti sulfurei, strisciando come la più insidiosa tra le fiere. Mentre, invece, è differente l’impressione sui brani che aprono Sulphur English che, sì, portano inciso sulla pelle il timbro doom sludge della band e la loro peculiare interpretazione, e quindi una magniloquenza nell’imbastire i propri discorsi che, però, si ha l’impressione diventi spesso verbosità, specie se si considera pure l’interminabilità dei brani. Stesso discorso vale per una voce e un registro di variazioni che non concede grandissimi sussulti, nemmeno quando assume toni maggiormente declamatori o quando la batteria accelera ma il riffing rimane elefantiaco e coriaceo e la scrittura di una staticità straziante. Bene, però, certi giri sbilenchi, certi momenti tribali e primitivi.
Sulphur English è un grande affresco coriaceo, un lavoro forse eccessivamente gigantesco, che forza il senso della misura. Non è detto che piaccia necessariamente.
(Relapse, 2019)
01.Bumgardner
02.A Waxen Sea
03.Citadel
04.Howling Lands
05.Stillness
06.Observances of the Path
07.The Atavist’s Meridian
08.Blood on the Lupines
09.Sulphur English