Che si tratti di confermare i bagliori di un debutto o di puntellarne eventuali passi incerti, i secondi cimenti sono da sempre uno snodo ad alto rischio e pari potenzialità nel percorso artistico di una band, al punto che per molti la prova del secondo album è il primo, vero momento di verifica delle possibilità di ritagliarsi uno spazio e di trovare una collocazione tra memorabilità e anonimato. Esauriti i bonus (o gli alibi…) che non si possono mai negare alle opere prime, infatti, il ritorno sulle scene comporta fisiologicamente un incremento delle aspettative dei fan della prima ora o la necessità di un riscatto agli occhi di eventuali detrattori, nonché la possibilità di apparire su qualche radar distrattamente spento in occasione della prima epifania.
Prendiamo il caso degli austriaci Glare Of The Sun, protagonisti un paio di anni fa di un esordio che avrebbe probabilmente meritato più riscontri e consensi di quanti effettivamente mietuti, sia pure al netto di qualche limite oggettivamente riscontrabile soprattutto sul versante dell’originalità della proposta. Collocato in un orizzonte doom con consistenti venature post e, in misura minore, prog, Soil ha probabilmente scontato l’azzardo “automatico” di alcuni paragoni con i mostri sacri dei generi di riferimento, senza concedere al combo di Salisburgo almeno le attenuanti per essere ancora all’inizio di un viaggio, ma per tutti coloro che hanno creduto subito nelle potenzialità del quintetto si trattava solo di attendere l’inevitabile manifestarsi di qualità e personalità e il riscontro, puntuale, arriva ora con questo Theia.
Pur confermando la sostanziale poliedricità del debut, i Glare Of The Sun operano infatti una decisa virata verso lande doom/death che sembrano del tutto nelle loro corde, inserendosi a pieno titolo in quella scuola scandinava che ormai da anni brandisce lo scettro quando si tratta di declinare materie in bilico tra poetici chiaroscuri e abissi intrisi di disperazione. All’interno di questo oceano di cui possiamo sommariamente tracciare i confini tra le ampie volute degli ultimi Katatonia e le tormentate visioni degli Swallow the Sun, i Nostri scelgono una collocazione decisamente più sbilanciata verso la lezione di maestro Renkse e soci, ma, prima che scatti qualsivoglia sospetto di ennesimo clone di un cliché ormai peraltro abusato, va detto che gli austriaci trattano la contaminazione con raro equilibrio e non fossilizzandosi mai sul modello, tanto che, a conti fatti, la pietra di paragone più immediata sono forse i Ghost Brigade, con tutto il carico “eretico” che un simile accostamento comporta. Certo, dimentichiamoci i riflessi grunge di Manne Ikonen, ma l’approccio melodico/malinconico è in più di un’occasione, se non sovrapponibile, quantomeno decisamente accostabile alle scelte artistiche dei finlandesi. Attenzione però, sull’altro piatto della bilancia, a non considerare esclusivo il contributo in arrivo dalle spinte più armonicamente declinate dell’ispirazione, perché i Glare Of The Sun non recidono mai del tutto il cordone ombelicale con le spigolosità death, aiutati in questo dal timbro vocale del vocalist Christoph Stopper, che sfodera per gran parte del tragitto uno scream tra l’acuminato e il sabbioso e ponendosi così in modalità “effetto controcanto” rispetto all’elegante dipanarsi delle trame strumentali, ed è in questi frangenti che si possono ancora cogliere, con tutti i distinguo e le precauzioni del caso, gli echi opethiani che avevano punteggiato Soil.
Il risultato di queste spinte multidirezionali è un platter dalle mille sfumature che regge benissimo la sfida di un timing complessivo decisamente impegnativo, ma che consente a ogni singola traccia di ritagliarsi il proprio ambito di “individualità” (fatta eccezione per i titoli, per cui il quintetto sceglie una semplice numerazione progressiva sulla falsariga dell’ultimo parto di casa Insomnium, Winter’s Gate). Ecco allora ad esempio, dopo un breve intro strumentale, un trittico di apertura in cui si spazia dal melodic/death canonico di “II” a una semi-ballad come “IV”, in cui Stopper sfodera un buon cantato in clean che giunge progressivamente ad approdi nicotinizzati da consumato rocker settantiano, passando per l’andatura cadenzata di una “III” dove si segnala il lavoro di una sezione ritmica tutta doom-oriented su cui le sei corde intrecciano nel finale ricami ipnotici. Ma ecco anche l’andatura swallowiana dell’oscura “VII” (con tanto di sussurrato annesso) o i lidi depressive rock sfiorati in “VIII” o ancora i piccoli inserti folk disseminati qua e là in “VI” e “IX”, prima che la triade finale consacri definitivamente l’attitudine melodica della band, capace di passare disinvoltamente dalle astrazioni quasi space di “X” alle delicate architetture della conclusiva “XII”, dove davvero gli austriaci dimostrano tutta l’autorevolezza della loro candidatura per lenire almeno in parte il dispiacere di chi, come noi, si sente tuttora orfano per la troppo prematura dipartita dalle scene dei Ghost Brigade.
Elegante e in diversi passaggi quasi raffinato ma contemporaneamente in possesso di tutti i requisiti per soddisfare le aspettative di chi nel doom/death ricerca altrettanto significativi dosaggi in termini di muscoli, potenza e velocità, Theia è un album che non ha la pretesa di spostare verso nuove colonne d’Ercole i confini del genere né di inseguire l’originalità a tutti i costi, puntando piuttosto sulla capacità di coinvolgere emozionalmente l’ascoltatore e riuscendo nella mai semplice impresa di mantenere alta l’attenzione per tutta l’ora (abbondante) di viaggio. Prova più che superata e anche a pieni voti, i Glare Of The Sun sono tutt’altro che una meteora destinata a scomparire in fretta sotto la linea del metal orizzonte.
(2019, Lifeforce Records)
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI
7. VII
8. VIII
9. IX
10. X
11. XI
12. XII