Nel loro momento di massimo splendore produttivo, ricordo che si vedeva ai Ringworm come a dei tremendi ignoranti, ma più che altro l’opinione era estesa proprio ad un tipo di metallic hardcore e coinvolgeva quindi pure act del calibro di Merauder o All Out War. Era il periodo in cui la Victory Records la buttava ancora sui muscoli. Parliamo di quindici anni fa. E da questo giudizio si salvavano solo gli Integrity. Nei fatti però, il quintetto di Cleveland, pur oscillando tra qualche alto e basso, non ha mai toppato, specie da quando, dopo l’intervallo di Stigmatas in the Flesh – ma non si dimentichino gli ottimi lavori di inizio millennio – , si è rigenerato ed ha trovato una piacevole continuità, con un passaggio alla Relapse.
Questo Death Become My Voice, che è il terzo lavoro per la label statunitense, si pone più o meno sullo stesso livello dello scorso Snake Church e conferma l’ottimo stato di forma per una band che è in giro dai primi anni Novanta e che viene ormai tranquillamente annoverata tra quelli che sono i padrini di un certo metalcore. Non solo non hanno perso uno solo grammo di ferocia ma guardano con sempre più occhi di riguardo all’orizzonte estetico del metal, ed è evidente in maniera particolare nelle chitarre. Ad ogni modo la minestra è sempre quella. Human Furnace ruggisce, col sangue agli occhi, come se avesse vent’anni e i Ringworm declinano il loro hardcore intriso di metal (thrash e un pizzico di heavy) sgranandolo di livore e di ottusa ferocia.
Death Become My Voice – diviso tematicamente in due sezioni, The Death e The Resurrection – non dice nulla di nuovo, lo sospettavamo tutti, ma fila via liscio, piacevole, spedito come un carroarmato fino alla fine. Invece, l’artwork è oltremodo orrendo.
(Relapse Records, 2019)
01. Death Becomes My Voice
02. Carnivores
03. Acquiesce
04. Do Not Resuscitate
05. Dead to Me
06. The God of New Flesh
07. I Want to Tear the World Apart
08. Dying by Design
09. Separate Realities
10. Let it Burn
11. Final Division