DIEGO RUGGERI
Un decennio è un periodo davvero lungo. In questo lasso di tempo ho ripreso in mano il basso e ho iniziato a scrivere su GOTR. Queste due cose hanno sancito definitivamente il mio legame con la musica da ogni punto di vista: contatti con le label, PR, band. Difficile scrivere una lista che riassuma adeguatamente la ricchissima produzione musicale di questo periodo, ma ci proverò: il tutto è rigorosamente non in ordine di importanza.
Rosetta – “A Determinism of Morality” (2010)
È stato probabilmente il punto più alto della band e, per quello che mi riguarda, il disco spartiacque tra chi il genere post-metal lo ha plasmato e chi lo ha perfezionato con una moltitudine di micro-variazioni. Tutto è perfetto: la durata dei brani, le melodie e la voce, così disperata e potente.
*shels – “Plains of the Purple Buffalo” (2011)
La melodia al servizio della creatività. Un album registrato per la sua interezza con chitarre acustiche che si stratificano creando qualcosa di meraviglioso e non definibile. Non è post-rock, non è psichedelia. È musica suonata con il cuore. In attesa spasmodica per il nuovo lavoro.
Light Bearer – “Lapsus” (2011)
Un concept album dove la direzione artistica e musica sono strettamente legate tra loro. Alex CF si fa portavoce di un intimismo urlato e struggente, dove il suono tipico del post-metal si interseca con la sensibilità albionica. Abbiamo momenti di pathos fatti di inserti di pianoforte e violoncello, che convivono con la potenza del post-metal. Davvero un peccato che la quadrilogia non abbia avuto termine.
OM – ”Advaitic Song” (2012)
La sacralità vista da una prospettiva differente e magnifica. Linee di basso che hanno fatto scuola e una batteria assolutamente fuori scala fanno di questo disco il punto di non ritorno di tutto quello che è di origine stoner e doom. Una sola traccia che vale una carriera: State of Non-Return. Difficile fare meglio.
Ornaments – “Pneumologic” (2013)
Musica strumentale made in Italy che non ha paura di essere paragonata con nomi illustri oltreoceano. Un potere comunicativo che non necessita di parole da cantare. Basta ascoltare gli strumenti per capire cosa vogliono trasmettere i musicisti coinvolti. Hey, non sarebbe male da suonare una musica del genere… Chissà se trovo qualche disperato preso male che la pensa come me.
Boards Of Canada – “Tomorrow’s Harvest” (2013)
Un lungo silenzio che ha portato gli scozzesi a evolvere ulteriormente la loro musica elettronica fortemente analogica. Un viaggione nella downtempo che era partito negli anni ’90 e pare non essere ancora finito. Retro-futurismo ai massimi livelli.
Yob – “Clearing The Path To Ascend” (2014)
Un disco che mi entrato lentamente in testa per non lasciarmi più. “Marrow” è pura poesia che bilancia perfettamente la cupezza degli altri brani. Produzione ai massimi livelli e linee vocali clamorose.
Sun Kil Moon – “Benji” (2014)
La semplicità a volte paga. Mark Kozelek, con la sua chitarra acustica, riesce a regalare canzoni di una bellezza abbagliante. Lo fa cantando della sua vita, delle perdite e dei dolori. Difficile da spiegare: non resta altro che mettersi un paio di cuffie e farsi cullare dalle sue tristi ballate.
Nero Di Marte – “Derivae” (2014)
Non faccio in tempo a prendere atto di come sia poco importante per me il cantato nella musica che Sean Worrel mi dimostra esattamente il contrario. “Il Diluvio” e “Those Who Leave” sono stiletti che affondano nel cuore. Ne sgorga fuori liquido nero. Suoni incredibili, personalità da vendere. Capolavoro.
Dumbsaint – “Panorama, in Ten Pieces” (2015)
Post-metal strumentale di altissimo livello. Il tutto corredato con film cupissimo. Dal vivo macchine da guerra e persone ammodo. Da Sidney con furore.
Suffocate For Fuck Sake – “In My Blood” (2017)
Può lo screamo convivere con il post-rock più orchestrale? La riposta è sì. La prima volta che ascoltai il vinile di questo gruppo, con le lyrics a portata di mano, capii la grandiosità e l’irripetibilità di quello che avevo tra le mani. Un concept album che tratta di argomenti difficilissimi, con una irruenza e una urgenza espressiva davvero inedite. Il fatto che Moment of Collapse ne abbia ristampato i dischi precedenti, ha fatto accrescere la mia stima per l’etichetta. Conoscere poi di persona uno dei musicisti coinvolti nel progetto e nella label e condividere con lui il palco è stato incredibile.
The Pirate Ship Quintet – “Emitter” (2019)
Quanti dischi ci sono che vi scuotono fino alle viscere? Pochi direi. Emitter è come sentirsi a casa. Il suono caldo degli strumenti a corda, l’espressività del violoncello di Sandy Bartai è semplicemente perfetta. Un disco che infrange le barriere di genere e porta visceralità e poesia a nuove vette.