“Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio”… non importa quante volte la vita si sia incaricata di smentire ciò che da bambini sembrava potesse bastare per trasformare i sogni in realtà, non importa quanto dolorosamente col passare degli anni si impari a mettere a fuoco i desideri cogliendone i tratti dell’illusione o dell’utopia, nessuna presunta lezione potrà mai impedire a un essere umano di inseguire ciò che per altri è nel migliore dei casi una chimera coi contorni fatali dell’irraggiungibilità. E quando alla volontà si riesce a sommare un impegno altrettanto tenace, il risultato può davvero sorprendere e smentire tutte le profezie dei realisti più disincantati.
Qualcosa di simile deve essere successo a una coppia di artisti iraniani, Aria Moghaddam e Mehdi Cheriki, che, dopo aver venerato per anni in modalità fans alcuni dei più grandi totem del panorama gothic/dark/atmospheric rock e metal, hanno deciso di osare l’impossibile, cioè di provare a contattarli per incidere un album che contemplasse la loro partecipazione a dispetto di distanze fisiche eufemisticamente quantificabili come ragguardevoli, tenuto conto che le “convocazioni” sono state inviate in quattro continenti. Il progetto Dark Matter muove così i primi passi nel 2018 con il rilascio di due singoli e giunge ora a definitiva maturazione con questo Nebula to Black Hole, per un risultato che, lo diciamo in premessa, va ben oltre la semplice somma algebrica delle stature artistiche dei protagonisti. Il duplice rischio, in questi casi, è che l’affollarsi degli ospiti produca da un lato una disgregazione delle linee narrative e dall’altro un culto del “cammeo” fine a se stesso, anticamera inesorabile di freddezza e cerebralità, ma nella circostanza i 14 partecipanti superano abbondantemente la dimensione degli invitati per assurgere al ruolo di anfitrioni a pieno titolo, integrando alla perfezione il lavoro altrettanto impeccabile dei due padroni di casa. Il terreno scelto per azzardare il gran cimento è prevalentemente quello di un gothic/doom crepuscolare e malinconico in cui atmosfere delicatamente eteree giocano una ruolo fondamentale, ma non mancano momenti ad alta resa energetica o passaggi velati di inquietudine, senza dimenticare uno sbuffo d’Oriente magnificamente incastonato in più occasioni nel corpo dei brani. Se a tutto questo aggiungiamo una spinta altrettanto significativa verso un registro che, pur depurato da qualsivoglia eccesso di magniloquenza, possiamo comunque definire symphonic, ci rendiamo subito conto del grande rischio-frullato che i Dark Matter hanno accettato di correre, ma a cementare saldamente le singole parti in un unicum assolutamente credibile provvede un gusto avantgarde che esalta le qualità quasi teatrali del platter, in un turbinio di cambi di scena e fondali che, lungi dal frastornare lo spettatore, lo inchiodano emozionalmente alla rappresentazione in corso su un ipotetico palco. Una simile teatralizzazione, peraltro, incontra perfettamente la natura di un album che, senza esserlo in senso strettamente musicale, svela ambizioni da concept soffermandosi sulle grandi domande che dovrebbero accompagnare l’umano transito nella dimensione che chiamiamo “vita” ma che troppo spesso tendiamo a evitare di formulare anche per paura che lo sguardo colga la profondità dell’abisso. A interrogarci sul senso della nostra presenza nello spazio e nel tempo, provvede nell’opener “Except Love” il primo ospite della compagnia, Daniel Cavanagh, che liofilizza subito l’atmosfera in modalità voce narrante prima che un assolo dalle radici blues garymooriane (mentre alle pelli segnaliamo il contributo di Fab Regmann, in libera uscita dal cenacolo Antimatter) ci trasporti in una dimensione space/cosmic peraltro perfettamente materializzata dal video rilasciato come succulenta anteprima dalla My Kingdom Music. La rarefazione del ritmo si spinge ancora oltre nell’avvio della successiva, diafana “Eartless Child”, appena increspata dai gorgheggi operistici della vocalist francese Anne Laurent (in arte Anaé, che i più attenti alla scena gothic collegheranno subito a monicker del calibro di Adrana e, più recentemente, Autumn Tears), ma pronta a intercettare nel finale spunti doom e melodic death sotto la guida della sei corde di Luiz Fazendeiro (Painted Black) e della batteria di Niko Panagopoulos. Per chi si aspettasse una navigazione del tutto tranquilla, però, ecco pronta una smentita immediata che assume i panni della tellurica “Theory of X”, in cui Moghaddam sfodera uno scream/growl di tutto rispetto mentre intorno si scatena un death che definiremmo quasi d’ordinanza se non fosse che, all’improvviso, piomba in scena una svolta orientaleggiante affidata all’incantevole ugola della singer iraniana Sahoora, in una miscela tanto inaspettata quanto riuscita. Il gusto per le commistioni eretiche si consolida ulteriormente con “Imperfect Universe”, dove si consuma il probabile vertice avantgarde del lotto con un perfetto gioco a incastri tra il timbro lirico di Anaé e una base musicale che rievoca i migliori Vulture Industries (impossibile qui non citare la presenza al basso di uno dei geni più poliedrici presenti sulla metal-piazza, quel Déhà che per ragioni di spazio ci limitiamo ad associare ai soli Imber Luminis facendo un colpevole torto ai suoi innumerevoli progetti), ma merita più di una citazione distratta anche “Void Wor(l)d”, brano dalla delicatezza quasi struggente, sotto un involucro mistico-liturgico che rimanda a mondi e dimensioni ultraterrene a cui si accede solo in stato di trance. La scala della qualità si arricchisce di un ulteriore gradino con il probabile best of della compagnia, “Funeral Pt.2”, che immerge l’album in una lattiginosa penombra swallowiana preannunciata dalla presenza del batterista del combo di Jyväskylä, Juuso Raatikainen, ma impreziosita soprattutto dal magnifico inserto vocale femminile affidato a Ana Carolina, frontwoman dei cileni Mourning Sun (ma transitata anche nelle scuderie Clouds, When Nothing Remains e Subrosa) e capace di far vibrare le stesse corde che hanno reso immortale la sfortunata musa ispiratrice di sua maestà Juha Raivio, Aleah Stanbridge. L’ultimo atto della pièce è affidato a una traccia dalla doppia anima, “Black Hole”, tormentata nella prima parte da onde ambient/drone con un vago retrogusto funeral (il che non stupisce, considerato che dietro al microfono è convocata Cecilie Langlie) e malinconicamente rasserenata nel finale da un lungo assolo di pianoforte sulle cui note Kevin Pribulsky fa calare il sipario… silenzio in sala e applausi.
Il coraggio di credere in un’impresa tanto audace per presupposti quanto riuscita sul campo, la capacità di affrontare con una sensibilità e un’ispirazione fuori dal comune un progetto ad altissimo rischio autocompiacimento, Nebula to Black Hole è un album che coinvolge, emoziona e commuove senza un solo attimo di pausa, mantenendo permanentemente vivo il filo della tensione. Complimenti ai due allenatori/giocatori, il debutto dei Dark Matter è davvero da dream team.
(2020, My Kingdom Music)
1. Except Love
2. Earthless Child
3. Theory of X
4. Imperfect Universe
5. Void Wor(l)d
6. Funeral Pt1
7. Funeral Pt1
8. Black Hole