Nostalgia? Marketing? Scherzo del destino? Epifania di divini voleri? O forse, più prosaicamente, solo l’umana propensione a non volersi mai arrendere all’inesorabile scorrere del tempo? Di fronte alla reunion di una band, la platea dei devoti del bel tempo che fu è sempre inesorabilmente scossa da fremiti in cui l’affetto per ciò che è stato finisce per scontrarsi con una realtà che ha inevitabilmente modificato le coordinate artistiche di cui un moniker è stato magari fiera espressione quando non addirittura alfiere. Ecco allora spiegati i pressoché immancabili tafferugli a colpi di parole e inchiostro tra chi vede in un ritorno sulle scene dopo anni di silenzio il segno di un’epopea che rivive e chi vede quella stessa epopea come santuario da affidare a una sorta di culto coi sacri crismi dell’inviolabilità, fosse anche di chi quel santuario ha contribuito ad edificare. Ai protagonisti di siffatte rentrée, dunque, tocca il titanico compito di rilasciare lavori davvero a prova di lente di ingrandimento degli occhiuti fans del passato, possibilmente senza dimenticare che, nel frattempo, nuove generazioni si sono sedute in sala e si aspettano un grande spettacolo, all’apertura (per loro) del sipario.
E’ questo il caso degli olandesi Celestial Season, che si ripresentano a vent’anni esatti di distanza dall’ultimo cimento con un album che non solo merita di non essere liquidato come una delle tante uscite che stanno affollando l’etere pandemicamente contaminato del nostro tempo ma, al contrario, aspira più che legittimamente a un posto di primo piano nei metal consuntivi di fine anno. Musicalmente figli di quella declinazione dolente e decadente della materia doom/death che negli stessi anni stava assistendo al trionfo dei caposcuola My Dying Bride, i ragazzi di Nimega si erano segnalati nel lontano 1995 con il magnifico (e inspiegabilmente sempre troppo sottovalutato, anche da chi si professa fedele discepolo delle sonorità di casa Stainthorpe/Craighan) Solar Lovers, ma erano presto finiti lontano dalle luci dei riflettori, complice anche un’inattesa svolta stilistica che a fine millennio li aveva visti virare verso sonorità stoner e grunge, peraltro tutt’altro che maldestramente declinate finanche nel controverso Lunchbox Dialogues, che nel 2000 aveva anticipato di poco la notizia dello scioglimento. Formalmente ricostituitisi nel 2011 con una line-up in parte modificata, i Nostri hanno attraversato un decennio senza dare notizia di sé ed è dunque con una certa sorpresa che accogliamo questo The Secret Teachings, che segna il sostanziale ritorno alla formazione originaria con Lucas van Slegtenhorst alle quattro corde e Stefan Ruiters al microfono, per un risultato che riporta la band alle sonorità degli esordi e che, lo diciamo in premessa, va al di là di ogni ragionevole aspettativa. E, altrettanto in premessa, rispondiamo subito a eventuali eccezioni sollevabili da chi in un album cerchi sempre e comunque tracce di innovazione a prescindere: The Secret Teachings suona sì, prevalentemente antico e “novantiano”, ma lo fa dannatamente bene e senza mai indulgere a rievocazioni o celebrazioni fuori tempo massimo. Il segreto è tutto nella perfetta alchimia di una band che sa maneggiare l’oscurità del doom combinandola con elementi disparati e scendendo a patti ragionevoli con una spinta melodica che, pur rimanendo un tratto distintivo del lavoro, non diventa mai ruffiano centro di gravità. Le frecce nell’arco dei Celestial Season sono, da questo punto di vista, praticamente infinite; che si tratti di una sezione ritmica impeccabile nel dettare cadenze e disegnare strutture maestosamente imponenti, del lavoro delle sei corde brandite dalla coppia Olly Smit/Pim van Zanen in perfetto equilibrio tra potenza ed eleganza o dei vertici di struggente abbandono raggiunti grazie ai delicati rintocchi di pianoforte cesellati da Jason Köhnen, il risultato è sempre un’atmosfera incantevolmente sospesa tra inquietudine e trascendenza. L’arma finale nell’arsenale della band, però, è tutta nella valorizzazione e nella contemporanea, magica, armonizzazione dei contrasti che si materializza mediando il growl catacombale di Stefan Ruiters (qui con un timbro davvero al limite della spendibilità in territorio funeral) con le incursioni eteree di una sezione d’archi (le due lady Jiska ter Bals al violino e Elianne Anemaat al violoncello) che commuove ad ogni comparsa sulla scena. Tredici tracce per un’ora complessiva di ascolto, The Secret Teachings è un viaggio privo di qualsivoglia caduta di tono o tensione, capace di rendere memorabili tutte le fermate a cominciare dai semplici e veloci intermezzi (dagli acustici “Dolores” e “Beneath the Temple Mount” al tiro classico di “White Lotus Day”), alla prova dei fatti tutt’altro che banali filler buttati lì per accumulare minutaggio. Per il resto, siamo al cospetto di una tavola pantagruelicamente apparecchiata, a cui possono banchettare con sommo godimento sia gli amanti dell’ortodossia doom (l’opener “The Secret Teaching of All Ages” e, in parte, la quasi sabbiosa “Amor Fati” sprigionano riuscitissime suggestioni Saint Vitus), sia i cultori dei rigori della tradizione mydyingbridiana (“For Twisted Lovers” su tutte), sia i paladini della lezione psych (provare per credere le spire ipnotiche di “Salt of the Earth”), sia gli estimatori delle contaminazioni (davvero splendida, la vena orientaleggiante che insidia con striature esotiche il monolite innalzato in “Ourobouros” e altrettanto accattivante il retrogusto gothic di una “Long Forlorn Tears”, che squaderna oltretutto un ottimo strappo death). Nell’impossibilità di indicare una vetta assoluta in presenza di un simile altopiano qualitativo, suggeriamo anche di non trascurare la coppia apparentemente più “eretica” posta a chiusura del viaggio, con la strumentale “A Veil of Silence” che veste a lungo i panni di una semi ballad ma su cui, nella seconda metà, si stampa un trascinante assolo di marca blues/hard rock con l’augusta sagoma di un Gary Moore sullo sfondo e, infine, con l’escursione in lande doom esoteriche offerta da “Red Water”, dove l’ospite Kitty Staunton esce subito dalla modalità cammeo per avvicinare la resa di un’autorità in materia del calibro di Jessica Thoth, trascinandoci in una dimensione in cui restare sospesi, in attesa che la sacerdotessa offici il rito iniziatico a cui siamo stati chiamati a partecipare e ci metta in contatto con le entità superiori di cui è interprete e terrena portavoce.
La sorpresa di un ritorno inatteso, un tuffo nel passato senza ombre anacronistiche a oscurare l’esito di quello che è tutto tranne che un’operazione di mercato o nostalgia, una formula antica di cui, nelle mani giuste, si riscoprono improvvisamente i poteri magici, The Secret Teachings è il classico album capace di riportare una band ai fasti di un passato su cui il tempo aveva impietosamente depositato troppa polvere. Canto del cigno o inizio di una nuova era, al futuro l’ardua sentenza, noi per il momento ce lo godiamo fino in fondo, il presente dei Celestial Season.
(Burning World Records, 2020)
1. The Secret Teachings of All Ages
2. For Twisted Loveless
3. The Ourobouros
4. Dolores
5. Long Forlorn Tears
6. Amor Fati
7. White Lotus Day
8. Salt of the Earth
9. They Saw It Come from the Sky
10. Lunar Child
11. Beneath the Temple Mouth
12. A Veil of Silence
13. Red Water