Come si sa nell’universo discografico esistono degli angolini per loro natura bui e ombrosi, praticati, frequentati e custoditi gelosamente da cultori e appassionati. Angolini che poi rappresentano il corpo sommerso dell’iceberg, l’underground indipendente tout court che, come è facile da capire, non gode di distribuzione mainstream né di promozione adeguata. Ne viene che una costellazione di uscite discografiche di gran livello rischi di ricevere una copertura e un’eco insufficiente; che non vada al di fuori della propria nicchia di ascoltatori. Non che basti, chiaramente, questa sola nuova rubrica a cambiare le cose, né tantomeno ce lo auspichiamo. Seguiamo la musica estrema da sempre, con particolare occhio di riguardo all’underground e non ne vogliamo stravolgere le logiche, per via del fatto che le sposiamo. Screamature vuole volgere lo sguardo a quelle uscite mediaticamente meno esposte. Roba di altri continenti, ristampe, compilation, discografie ma pure EP e split. Proveremo a fare una scrematura mensile e proporvi quanto di più interessante abbiamo trovato. Ci muoveremo principalmente, come è lecito dedurre dal titolo che abbiamo scelto, nell’ambito dello screamo, senza porci però grossi limiti e paletti. Questa è la prima puntata!
Age Sixteen – Discography (No Funeral Records, Artificial Distro, vinile)
Gli Age Sixteen furono una band di Baltimora, attiva dal 2001 al 2009. Alcuni membri provenivano da esperienze con Surf Nazis on Ectasy, Sawhorse e Liu Dallas. All’attivo hanno un album, uscito solo in CD, Open Up Finders, Please, e uno split con i Wren Lloyd. Un tentativo di raccogliere la loro discografia era già stato fatto nel 2015 dalla Couch Punx Records tramite un CD omonimo che raccoglieva tutti i brani degli Age Sixteen, eccetto la cover di “Seven” dei Sunny Day Real Estate, per evitare problemi di copyright. Solo che ancora una volta era un uscita in cd, a parte una manciata di testpress in vinile. Quest’anno è uscita finalmente una nuova versione in vinile, due anzi. Stavolta il titolo è Discography ed esce, in versione Coke Bottle Clear, per No Funeral Records in Canada e negli USA come prima uscita per Artificial Distro.
Il loro è uno screamo nervoso, intenso, eclettico nelle soluzioni, sperimentale nella forma canzone. Ogni brano segue percorsi diversi, imprevedibili, fatti di accostamenti arditissimi ma funzionali, grazie anche ai tanti innesti math, alle strizzate d’occhio al midwest emo, una voce ispirata più dal post-hardcore e pure certo post-rock che aiuta a costruire atmosfere e momenti più tenui che stridono alla perfezione con una voce sempre al limite e indomita. Tanti i momenti da pelle d’oca: “Everything is a Tide”, “Fabric”, “Dear Judas” o “Empty Nest”. Il caos per gli Age Sixteen non è altro che complessità, urgenza e furia e durante la loro breve carriera hanno saputo osare tanto, lasciando una stupenda testimonianza – invecchiata benissimo peraltro, escluso giusto qualche episodio come “Seasick” – della propria creatività. Discography è un gioiello di menefreghismo, un lavoro filologico che rischia seriamente di diventare un classico del genere.
8.5
wazakaиa – collected eps (Missed Out Records, digitale)
Arriva invece dal Giappone, ma a spingerlo è la Missed Out Records che ne ha pubblicato il digitale, la raccolta di EP dei Wazakaиa, collected eps, che raccoglie appunto i tre lavori pubblicati sinora dalla misteriosa band giapponese. Di loro infatti è pressoché impossibile trovare informazioni on-line eccetto che, tra il 2019 e quest’anno, hanno pubblicato 3 EP – nell’ordine: Illusive, Mimosa e Nebula.
La band giapponese ci sorprende con un math rock etereo, arditissimo, continuamente in movimento, complesso e, almeno a tutta prima, inspiegabilmente affidato a un cantato femminile che più assurdo non potrebbe essere; una vocina pop da sigla di anime, e al primo ascolto diventa tutta questione di prendere o lasciare. In realtà è di sicuro una soluzione affascinante per via del suo effetto sorpresa ma soprattutto per il connubio con la sezione musicale potenzialmente inconciliabile. Il problema forse più che altro sta nel fatto che l’uso della voce, tout court, è come se ne frenasse la libertà compositiva, costringendo la scrittura entro una forma canzone più quadrata, di sicuro rispetto ai brani solo strumentali. In compenso gli ultimi brani, che sono pure ultimi in ordine di composizione, laddove usano la voce, sembrano più solidi e convincenti, come se i Wazakaиa avessero affinato certi stridori iniziali. Di sicuro, quando vanno di instrumental i giapponesi ampliano i propri spettri emotivi, fanno rapide incursioni nei territori del prog e riescono a creare, nonostante le continue fratture e l’instancabile dinamismo, pure ariose aperture di luccicante post-rock. Poi tornano a sfrecciare come saette, inerpicandosi nei loro loop mentali. Pur nella sua apparente levità, collected eps, è in realtà un album di difficile assimilazione, saturo di sfaccettature, complesso, esteticamente indecifrabile, eppure godevolissimo. La band, se si prende in esame la sua cronistoria, sembra stia facendo rapidissimi passi in avanti, perfezionando e smussando quelle spigolature dei primi brani. Attendiamo il loro prossimo passo.
7.5
Seyarse – Congealed Released (Zegema Beach, tape)
La Zegema Beach va a recuperare una band emoviolence di Chicago, i Seyarse, attiva nei primi anni del duemila, strafiga ma che ha lasciato pochissime testimonianze. Vale a dire un EP omonimo e uno split con i La Mantra De Fhiqria. Due quarti della band li ritroveremo, qualche anno più avanti, pure nei Piglet, band math rock che durò un solo album (Lava Land, 2014). Congealed Released, uscito in cassetta in edizione limitata, presenta dunque i 7 brani della band, più la versione live di sei di questi – manca solamente “Gypsy Switch” ma è ben sostituita da una corposa intro – a confermare quella diceria secondo la quale pare fossero particolarmente rinomati per i loro live. E difatti fanno paura, voce compresa.
La loro proposta non è delle più delicate. Dei brani presi dall’EP, i primi quattro sono un tornado ottuso che spazza via tutto, dall’intensità e dalla foga belluina. Sono quattro scariche emotive, taglienti come lame, che tra improvvisi cambi di rotta, tempi dispari, velocità forsennata e un’interpretazione fuori dalle righe. Tra i momenti migliori la variegata “It Might Be a Setup”, che è pure il brano più lungo del lotto, e “Fashion Emergency”, una roba epica, estrema, raggelante. Credetemi. I brani dello split, pubblicato nel 2004, a due anni di distanza dall’EP omonimo, perdono quel barlume di luminosità, il vitalismo e l’informalità del primo lavoro. E’ evidente. Sono più cupi, più glaciali, più adulti forse, ma anche più introversi e inquadrati; e la loro urgenza meno sboccacciata. Comunque impressionanti e rendono meglio nelle loro esecuzioni live. Nel loro secondo e ultimo capitolo i Seyarse hanno cambiato gli approcci compositivi e la loro scrittura tradisce dosi massicce di mathcore, evidente presagio dell’esperienza math dei Piglet. Congealed Releases offre, merito anche della sezione live, un bella retrospettiva sulla parabola di una band tanto interessante quanto poco longeva ma che ha lasciato una manciata di lavori meritevoli di essere ripescati e salvati dal dimenticatoio.
8.0
Shikari – Complete Discography (Polar Summer, tape)
La russa Polar Summer propone invece la discografia degli olandesi Shikari ed è una roba da restare a bocca aperta. Non solo per la ricchezza dell’edizione – ben 27 pezzi – ma per la qualità. Gli olandesi avevano già pubblicato delle compilation con la loro discografia ma una copriva la loro discografia fino al 2003, ed era un’edizione americana, e un’altra fino al 2004, e l’edizione era malese. Questa è la più completa ed accessibile al pubblico europeo e disseppellisce dal dimenticatoio una band validissima e degna di essere recuperata.
La tracklist segue la discografia del quartetto e inizia quindi con il primo 10” Robot Wars del 2000 a cui appartengono le prime 8 canzoni. Ci troviamo di fronte ad un emoviolence che, specie a tutta prima, rasenta il powerviolence. Si respira ansia, ventate di adrenalina e un’intensità fuori dal comune sono le costanti, come pure l’essere sempre lì per lì per perdere il controllo. Eppure nonostante la complessità e la vocazione a spingere sull’acceleratore sin da subito il quartetto olandese sembra ordinato e con le idee chiare, bravo pure nei fraseggi eterogenei. Il momento più alto del lotto è probabilmente “Written in Some Depressive Mood”. Si prosegue con i brani del loro split con i Seein’Red, uscito sempre in 10”. I brani adesso si spingono oltre i tre minuti e gli Shikari sembrano aver affinato definitivamente le loro armi, specie la chitarra sempre più azzeccata e ficcante. Di sicuro più smaliziati e diretti ma anche più attenti alla resa dei brani che diventano inevitabili cadute in vertiginosi maelstrom. “In Existence” ad esempio è un brano enorme, che fa tremare le gambe per l’enorme impatto emotivo. Si prosegue continuando sulla stessa scia con il lotto di brani appartenente al 7” omonimo, praticamente coevo che conteneva roba già edita e quattro inediti. E qui svettano per fierezza “Morning Wood” e “The Last Thing”. Scorrendo la tracklist incontriamo “Biela”, un brano brevissimo inserito in un altro split con i Seein’Red, uscito nel formato di una Businnes Card (ve lo giuro), la cover di “Fall on Proverb” degli Unbroken e Ons Land, uscito nella compilation Maximaal Onthaal. Da qui si passa alla fase conclusiva della loro parabola (2004-2005) in cui iniziano ad usare l’olandese e i brani si fanno molto più scuri, soffocati, polverosi, travolgenti in ugual misura ma in modi diversi, con molto chaotic hardcore di mezzo. Si tratta dei brani contenuti nello split con quegli altri mostri dei Phoenix Bodies e con i brasiliani Acao Directa. Segnalo qua almeno “Laatste Halte”, un carro armato, un brano perfetto, enorme, in cui gli Shikari sono cresciuti immensamente. Il canto del cigno spetta ai 4 brani che facevano parte dello split con i Louise Cyphre in cui emoviolence e neocrust riescono ad incontrarsi in momenti assurdi. Poi lo scioglimento e adesso questa preziosissima raccolta ricca di gemme dimenticate eppure ancora valide ed attuali.
9.0
Ken Burns – Discography (Larry Records, LP)
L’ultima compilation di cui ci occupiamo in questo pezzo riguarda quella di una band di Boston, i Ken Burns, sconosciutissima ai più ma con dei membri di Saddest Landscape e Bedroom Eyes, autori di un paio di lavori, l’ultimo dei quali risalente al 2015. A mettere insieme i due pezzi e farli uscire in un vinile limitatissimo ci pensa la newyorkese Larry Records. I due lati del vinile contengono rispettivamente il primo lavoro omonimo uscito in cassetta e autoprodotto e il 7”, sempre omonimo, uscito per Zegema Beach, (We Built the World and) Miss the Stars e Don’t Live Like Me. I brani sono tutti rimasterizzati, da Will Killingsworth ai Dead Air Studios. Il loro è uno screamo screziato e ammorbidito da un certo post-hardcore; selvaggi, feroci e tenui allo stesso tempo, capaci di essere profondamente emotivi. Il minutaggio dei brani è sopra la media dello screamo e le velocità non sempre sono portate all’estremo. Le canzoni sono costruite in maniera estremamente articolata, sempre ricercate e ricche di interessanti trovate. Nel primo lotto di canzoni a farsi notare maggiormente sono “Untitled” perché coglie nel segno sin dalle primissime battute e la funambolica “Ghosting”, tutta abbarbicata attorno ad un climax che arriva inesorabile, travolgente, lancinante. Nel lato B, e quindi nella seconda parte della loro fulminea esistenza, i Ken Burns mettono sul piatto altra roba, math specialmente, e molta più sperimentazione. Loro sembrano più maturi e fini e pure i brani risultano essere più interessanti. Prendo ad esempio la sola “Saudade”, che supera i 5 minuti, che dopo un math dinoccolato ti si avventa in faccia, lasciando senza respiro, procedendo per via di stacchi e riprese sempre più asfittiche e sublimi. Semplicemente un gioiello.