L’Olanda è terra da sempre dedita all’avanguardia artistica in tutte le sue forme. Non ultime quelle sonore. Proprio in quest’ultimo ambito rientra appieno il debutto dei Plague Organ Orphan, uscito per Sentient Ruin nella seconda parte dello scorso anno. Il duo composto da Marlon Wolterink (basso, voce e synth) e René Aquarius (voce e batteria) ha realizzato un album del tutto slegato da quanto siamo soliti ascoltare in ambito di metal estremo. A partire dalla tracklist, che prevede un unico brano di quasi 40 minuti che le note di copertina definiscono letteralmente come “avant-garde black/death metal deformation”. Sono da sempre portato a fuggire le etichette, ragion per cui mi discosto da quanto appena scritto e passo a descrivere l’album per come l’ho percepito e vissuto io. Occorre fare una premessa. Estremizzare il metal, cercando di spingerlo agli eccessi sonori è un obiettivo che in molti pongono come centrale nelle loro carriere artistiche. Da qui a riuscirvi, c’è un mondo intero nel mezzo. Ed è proprio qui, in questo luogo ibrido che racchiude tutto ciò che esula dall’ordinario, che i musicisti, tutti indistintamente, si sentono giustamente legittimati a tentare l’impossibile, vale a dire rivitalizzare un genere, il metal, che secondo molti ha già detto e dato tutto in passato. Qui, in questa terra inospitale, i Plague Organ sono perfettamente a loro agio.
Da un punto di vista strettamente sonoro Orphan si presenta come un claustrofobico tunnel all’interno del quale veniamo calati contro la nostra volontà e nel quale incontriamo tutto ciò che non ci aspetteremo mai di incontrare. 40 minuti scarsi di una martellante, monolitica ed inarrestabile traccia di batteria che viaggia per contro proprio, incurante di ciò che avviene intorno, di come si completi il mantra sonoro collettivo. Non c’è un punto preciso verso cui tendere l’ascolto. È tutto costantemente in tensione, da capo a coda. Tutto costantemente portato all’eccesso, verso una follia uditiva impossibile da evitare. Ritualisticamente profano con atmosfere oppressivamente ripugnanti e mortifere rappresenta un tentativo di destrutturare la musica portandola all’eccesso, ma soprattutto al futuro, tramite la sua spersonalizzazione e la sua riduzione a materia primaria da cui tutto nasce. Possiamo per certi versi pensarlo come un’anticipazione di quella che non dico che sarà ma che potrà essere la musica estrema di un futuro nemmeno troppo lontano. Anche se associare il termine “musica” all’album dei Plague Organ farà storcere il naso ai puristi del termine. Considerandola come arte però, il paragone ci sta tutto, è perfettamente calzante. Sono dell’idea di premiare chi osa. Non per il coraggio ma per la follia della visione di cui solo loro dispongono. Per cui premio ad oltranza, sempre e comunque un album come questo.
Mi piace pensare a Plague Organ come ad un collettivo artistico del tutto slegato dal calderone metal, dedito ad un approccio non convenzionale, quasi dadaista, sicuramente ben poco ortodosso. La loro sperimentazione passa anche attraverso la rimozione del simbolo metal per eccellenza, la chitarra, di cui non si percepisce minimamente la mancanza. Orphan è un album che riesce ad essere tanto avveniristico come concetto quanto primordiale come resa sonora, tanto bizzarro quanto caotico, ma non casuale o improvvisato. Qui c’è tutta l’arte dei due membri messa a disposizione di un progetto “superiore” verso cui tendere, cercando di andare oltre coi fatti, non con le parole come fanno la maggior parte dei loro colleghi musicisti. Minimalista e crudo, come un viaggio psicotico reso tangibile e non più chiuso e limitato ai suoni e ai pensieri di una mente malata. Un album che per assurdo può rappresentare il nuovo sound new age per una diversa e rinnovata idea di meditazione, un autentico rituale sciamanico che lascia intravedere un qualcosa verso cui tendere, ma che non arriva mai. In chiusura un plauso per la copertina. Laddove chiunque avrebbe scelto una cover in bianco e nero con tutta una simbologia legata ai cliché del metal, loro scelgono l’art noveau con tutto il suo colore. Scelta davvero sublime.
(Sentient Ruin Laboratories, 2020)
1. Orphan