A differenza di molte altre formazioni, che si sono limitate a esistere e a postare qualche stronzata su Instagram o Facebook, i Fange non sono stati con le mani in mano a guardare il 2020 scendere nello scarico del cesso. Lo scorso anno la formazione francese ha pubblicato un album, Pudeur, che unisce lo sludge-death delle origini a una aggressiva sperimentazione elettronica e un EP, Poigne, che ce li fa mettere sullo stesso livello dei The Body nel panorama dell’industrial/sperimentale. Non soddisfatti, i tre bretoni tornano a inizio 2021 con Pantocrator, una bestia di disco di mezz’ora spezzato in due metà esatte, sarebbe a dire due canzoni da quindici minuti ciascuna, che bolle insieme tutto quello che i nostri hanno fatto ad oggi e te lo inietta, con un ago spesso come un dito, tra la calotta cranica e la corteccia cerebrale.
Pantocrator, per sua propria struttura, è impossibile da descrivere in termini di un album convenzionale. Le due tracce che lo compongono, “Caduto Per La Francia” e “I Bastoni [lett. Verghe] Della Desolazione”, possono essere vissute, nel loro trascinarsi scure e impietose, come una raffica di ondate nere separate solo da un rallentamento, o da un cambio di riff, o come un’unica cascata di rottami e metallo fuso, da cui lasciarsi ricoprire senza opporre resistenza. In questo senso la prima traccia è più emblematica: è possibile riconoscere in essa dei momenti distinti, come un incipit che molto deve all’old-school death, una seconda parte che alterna momenti più distesi ad un flusso di distorsioni harsh noise… Parlare in questo modo di Pantocrator, come detto, è riduttivo: le invenzioni che i nostri mettono in gioco e sparano in testa a chi ascolta si susseguono in maniera omogenea e, nella loro coerenza bestiale e spietata, estremamente naturale. “Les Verges De La Désolation”, seconda metà dell’opera, giustifica la presenza di quella grottesca icona sulla copertina: l’intero brano è percorso da un sottinteso senso di malinconia, di un non so che di misterioso e quasi solenne, affrancandosi così dalla violenza cieca di “Tombé Pour La France” e creando qualcosa di più suggestivo, con vocals più variegate, che passano dallo scream allo spoken word, fino a diventare quasi un’invocazione infernale nella parte finale del pezzo. Può non essere una delle scelte più felici per un recensore parlare in modo così vago di un album e magari dirvi “se non li avete già ascoltati, o non avete ascoltato proprio l’album, non avete idea”, ma è proprio quello che sto facendo. E non posso fare altrimenti.
Dalla struttura poco convenzionale ma di sicuro non unica (molti album dei Bongripper, ad esempio, si articolano in un oscuro torrente di riff e feed), l’ultimo lavoro dei Fange ci permette di collocarli, se già non vi fossero, nel pozzo fetido delle migliori band estreme europee degli ultimi anni. Il loro stile è inconfondibile, un’intelligentissima unione di old-school e modernità, non atta a far contenti un po’ tutti ma a prendere dallo sludge più paludoso, dal death, dal noise e da certa elettronica quello che di meglio hanno da offrire e a confezionarne un vaccino contro l’allegria e il buonumore di cui non bastano neanche due dosi.
(Throatruiner Records, 2021)
1. Tombé Pour la France
2. Les Verges De La Désolation