Le notizie di fine anno davano questo Witch Coven come uno split EP tra gli svizzeri Rorcal e i loro connazionali Earthflesh. Ora che ho tra le mani il disco capisco di non aver capito nulla di quello che avevo letto in precedenza. Non un brano a testa come da copione ma una collaborazione che fonde entrambi i progetti dando vita ad una nuova entità sonora. La mezz’ora messa in piedi dagli elvetici rappresenta il perfetto esempio di una liaison praticamente perfetta, dove le due componenti pur fondendosi in un qualcosa di perfettamente coeso e inedito, si riescono a distinguere in modo piuttosto chiaro. Sostanzialmente possiamo vederlo come un disco di un unico ensemble, dal momento che Earthflesh altro non è che il progetto solista di Bruno Silvestre Favez, ex bassista della prima incarnazione dei Rorcal, ora dedito alle sperimentazioni sonore di stampo rumorista in solitaria. Due brani soltanto, uno per lato, di circa quindici minuti l’uno. Il minimo sindacale si potrebbe pensare. L’essenziale per presentarci il progetto in modo completo, senza ulteriori fronzoli. Solo e soltanto assalto sonoro. Non serve altro per renderci conto di ciò che abbiamo davanti e che ci sta entrando nelle orecchie. Il resto è solo violenza.
Witch Coven, uscito in vinile 12″ in tre diverse colorazioni e in cassetta per la svizzera Hummus Records, è un album decisamente orrorifico, sia come sonorità che da un punto di vista concettuale, che mostra quella grande simbiosi di cui sopra. Mezz’ora di un interessantissimo mix tra doom/sludge e drone/noise all’insegna della ricerca di quell’oscurità che anima il nostro interiore. Quel pozzo senza fine che scava ininterrottamente, senza trovare fine. Una voragine di cui ancora non riusciamo a vedere il fondo e da cui non è e non sarà facile risalire. Un EP che non lascia speranza alcuna, viste le tematiche trattate dai due brani, “Altars of Nothingness” e “Happiness Sucks, So Do You”. Con titoli di questo stampo crediamo ci sia davvero ben poco altro da aggiungere, se non che la ricerca sonora, sporca come poche altre volte, aggiunge ulteriore pathos all’insieme generale.
Il disco parte esattamente come era finito il precedente album di Rorcal, Muladona del duemiladiciannove, il quinto della loro carriera, con un crescendo che finisce per esplodere in modo deflagrante nel secondo lato, “alzando il livello dello scontro” sonoro cui siamo sottoposto. Due lati in parte in contrasto, ma comunque assimilabili al medesimo scopo, ampiamente raggiunto, di sconcertare e annichilire grazie ad un approccio quanto più nichilisticamente rumoroso possibile. La scelta dei suoni depone a loro favore, il mix tra rumore e distorsione è un dolce solletico per il sottoscritto e per tutti coloro che amano il volume alt[r]o e i feedback ronzanti che saturano l’aria. Un grido disperato che rappresenta al meglio la “congrega delle streghe” di cui ci parlano gli svizzeri. Disagio che personalmente parlando trovo sublime soprattutto nel primo lato, laddove i tempi meno intensi amplificano il mio star male. Una rappresentazione estrema ma assolutamente toccante e concreta del male che abbiamo reso tangibile con il nostro comportamento.
(Hummus Records, 2021)
1. Altars of Nothingness
2. Happiness Sucks, So You Do
7.5