2015, Londra. Un sicuramente più giovane me ascolta per la prima volta Untitled. Il disco è l’ultimo di una sfilza regolare di EP e split dei The Armed, allora gruppo e non “collettivo” come ora, ed è un trionfo di mathcore. Quasi quasi il più bell’album mathcore di sempre, sì, meglio dei soliti mostri sacri Converge/Botch/Dillinger. Qualche anno dopo sopraggiunge Only Love, un album per me incredibilmente deludente. La sperimentazione si è evoluta verso una spinta synth e con una produzione piattissima ma difficilmente intellegibile. Dopo questa grande delusione i The Armed mi sono un po’ finiti in cantina. Arrivando velocemente ai giorni nostri non avevo alcuna buona aspettativa. Mi sbagliavo. Eccome.
Partiamo con qualche generalità. Ultrapop è l’ultimo lavoro di quello che ora è un collettivo di Detroit, The Armed, un gruppo che ormai non ha più linee ben definite. Comunque sia il collettivo fa di questa indeterminazione, vera o falsa che sia, una cosa molto propria e apprezzabilissima. L’estetica del disco (qui sopra ben in vista), dei video, foto e tutto il materiale che è stato pubblicato è deliziosamente commerciale proprio come da titolo. La band ha prodotto tantissimi video per questo album, tutti magnifici. L’unico in cui si vede la band suonare, “All Futures”, è una parodia forzatissima delle registrazioni video delle band che suonano in playback. Il disco dura quasi 40 minuti con intro e outro ben lunghi e definiti. Se cercate del mathcore lo troverete anche, ma dovete prepararvi a un disco che rivedrà tutte le vostre idee sui generi musicali. Mi piacerebbe mettere un “per i fan di” ma onestamente è unico. L’album è giustamente un esempio di Ultrapop, un genere tutto suo fatto di blast beat, tastierone e chitarre allegre e pop, basso distortissimo e voci scream che si alternano a pezzi puliti.
La produzione dell’album è molto particolare e “sparatissima” quando serve. Vengono dosati ottimamente tutti gli strumenti ma c’è una preponderanza di basso e batteria, cosa ottima perché sono la parte più aggressiva e aiutano a dare un fondo potente all’album. Un disco che in tantissimi pezzi è molto pop, volutamente. Non pensavo che nessuno sarebbe riuscito a unire così tanti generi, dal hardcore dei vecchi The Armed al pop da classifica a sperimentazioni post-black metal tipo Sunbather con blast beat incalzanti, in un miscuglio così convincente.
Da cantante non posso che ammirare le sperimentazioni vocali che coinvolgono secondo la line-up “ufficiale” ben sei persone. Tutte fantastiche. Bravo. Scream e urli femminili si interfacciano con la canzone in modi dolci e malinconici per niente metal o stucchevoli. In “Average Death” ad esempio la voce è incredibilmente ripetitiva e meditativa; un connubio incredibilmente artistico che si ripete in “An Iteration”. In questa canzone posso sicuramente dire che questo è fatto apposta per parlare della visione trita e ripetitiva del dialogo odierno. Concettualmente magnifica in “Big Shell”, “Where Man Knows Want” e “Real Folk Blues” Cara Drolshagen domina tremenda. Potrei andare avanti a descrivervi la voce, ma lascio a voi la scoperta.
Il comparto batteria e basso è sempre esplosivo e maestoso. Anche se è un album con strutture volutamente pop guai a pensare che sia puccioso e coccolone. I due strumenti ritmici sono le fondamenta attraverso la quale la band ci lascia sempre senza fiato. Potrebbero sembrare semplici, ma sono perfettamente funzionali e esprimono tantissima emozione attraverso un’ineccepibile tecnica. Non a caso ci troviamo Ben Koller dei sopracitati Converge che divide il compito della batteria con Urian Hackney. Il basso invece lo lasciamo a Jonni Randall probabilmente anche voce principale.
La chitarra e i synth invece sono a volte tenuti leggermente indietro nel mix e pare siano stati curati da ben cinque persone diverse. Questi strumenti sono quelli che ci trasportano, ci narrano cosa dobbiamo sentire e quello che c’è da sentire lo sentiamo, forte e chiaro. Li considero insieme perché effettivamente hanno lo stesso ruolo, si mischiano benissimo in tutte le tracce; tanto che a volte si fa fatica a distinguerli, vedasi “Masunaga Vapors” e “All Futures”. Spesso l’album esplode in ritmi serrati e dritti come in “An Iteration” o “Average Death” che vede l’alternarsi di blast beat e sperimentazioni pop che solo dei grandissimi musicisti potevano gestire con così tanta maestria. Per mia gioia la ritmica e il caos non mancano mai, ad esempio li ritroviamo presentissimi in “Faith In Medication”. Lì mi fanno scendere una lacrimuccia perché sono sicuramente diretti discendenti di Untitled.
Mi sono dilungato anche troppo. Chiudo dicendo che se avete voglia di essere trasportati in un turbine di emozioni potentissime, sia aggressive che lascive, assolutamente gender-netural e asessuali, siete pronti per Ultrapop. Un album che la band definisce: “Una ribellione contro la cultura delle aspettative nella musica “pesante”. Un’interpretazione gioiosa, senza genere sessuale, post-nichilista, anti-punk e affilata sul creare l’esperienza d’ascolto più intensa possibile. È la cosa più, brutale, bella e orrenda che potessimo fare.” Un album che è tutto questo e molto, molto di più.
(Sargent House, 2021)
1. Ultrapop
2. All Futures
3. Masunaga Vapors
4. A Life So Wanderful
5. An Iteration
6. Big Shell
7. Average Death
8. Faith In Medication
9. Where Man Knows Want
10. Real Folk Blues
11. Bad Selection
12. The Music Becomes a Skull