Conosciamo i Noise Trail Immersion, sappiamo di cosa sono capaci e sappiamo anche con quale veemenza quello che sanno fare ce lo scagliano addosso, quello che non conoscevamo fino in fondo (… e chissà, magari nemmeno lui) è l’animo sperimentale di Daniele Vergine, qui in veste solista con il suo progetto Abiura. Un animo profondo e imperscrutabile, ma che mette bene in chiaro tramite suoni lontani problematiche e concetti a lui cari (e anche a noi tutti), raccontati con calma attraverso una storia che progressivamente giunge al suo apice grandioso e spaventosamente ovvio.
L’album si intitola Hauntology e con suoni alieni e nebbiosi questo piccolo gioiello parla direttamente con noi e ci tramanda una storia, la storia di un viaggio attraverso la ricerca di un futuro, un viaggio introspettivo, fatto però di epifanie, tante piccole epifanie che si trasformano infine in una grande e decisiva presa di coscienza di quanto quel futuro potrebbe non essere una probabilità. Le vibrazioni che vengono trasmesse da questa musica sono ora impercettibili, ora eguali a sismi catastrofici contemporaneamente e, queste scosse, questi palpiti, si abbattono tutti contro l’animo e la psiche dell’ascoltatore in maniera così devastante, così distruttiva emotivamente da lasciare un vuoto malsano quando si arriva alla fine. La butto sul drastico per diversi motivi: raggiunge picchi emotivi altissimi, in particolar modo nei momenti in cui presenzia una voce sommessa in “Blurred Memories of a Lost Identity”, intensa e sofferta e allo stesso tempo dispersa in un vuoto buio e disperato, questa voce colpisce immediatamente la nostra sensibilità e non saprei proprio descrivere le percosse telluriche che si subiscono in “The Cage of Precorporation”. Altro motivo per cui sono drastico è la difficoltà che presenta questo disco, si tratta di una sola lunga traccia di trentuno minuti che prosegue dritta, ma è virtualmente divisa in sei parti, tutte perfettamente distinte le une dalle altre, non c’è bisogno di andare a vedere a che minuto inizia una o a che minuto inizia quell’altra, sono molto diverse tra loro, ma per motivi ovvi credo sia stato giusto evitare si staccare un pezzo dall’altro perché in questo modo probabilmente si sarebbe perso il filo del discorso, ma soprattutto il pathos che ogni brano va a edificare. In ogni caso è certamente un lavoro ostico per un ascoltatore impreparato a qualcosa di così pesante, ma non starò qui a dire che chi non ha il coraggio di addentrarcisi non merita rispetto, tutt’altro, lo riterrei comprensibilissimo, ma diciamocelo pure, una volta immersi in questa opera che letteralmente respira, una volta avventuratisi in questo Hauntology e avendo proseguito dritti fino alla fine, io credo che regali un’esperienza unica e degna di essere sperimentata.
Forse sono io che sono avvezzo alle cose strane, forse è questo disco che rientra al di qua della linea di demarcazione (assai sottile) che divide l’opera d’arte che va percorrendo sentieri insoliti dalla ciofeca artistoide che in realtà non è altro che una roba pretenziosa che non percorre assolutamente nulla, o forse… forse non lo so. Ma so che questo disco è da scoprire, è da vivere, bisogna lasciarcisi trasportare passivamente e attivamente, perché in entrambi i casi fa tutto lei. Leggo che le principali fonti di ispirazione vanno da Ulver a William Basinski, ed è vero, si colgono queste cose, ma io ad essere onesto, dall’inizio alla fine ho colto la magica atmosfera dell’arena di Pompei con i Pink Floyd che suonano cose ultraterrene e ultraterreno è Hauntology. Una sorpresa ben gradita.
(Moment of Collapse, 2021)
1. Abjection
2. Blurred Memories of a Lost Identity
3. The Cage of Precorporation
4. Desperate Aim for Momentum
5. Perpetual Waves Between States of Anxiety
6. The Slow Cancellation of the Future