Nel maggio del 2018 gli svizzeri Abraham erano usciti con un monolite sonoro della durata di quasi due ore su quattro vinili dal titolo Look, Here Comes The Dark!, un lavoro incentrato sulla progressiva autodistruzione dell’umanità schiacciata dalla propria supponenza ed arroganza in favore di una Natura finalmente padrona e sovrana della Terra. Per descrivere questo scenario apocalittico i Nostri avevano utilizzato la lingua che meglio conoscevano, ossia quella dello sludge/post-metal torbido e funereo figlio dei Cult of Luna e soprattutto dei The Ocean (da sempre considerati loro padri spirituali).
Quasi quattro anni dopo e con una pandemia ancora in corso il gruppo di Losanna, che nel frattempo ha perso un elemento portandosi a quattro componenti, sforna un nuovo capitolo di questa storia, dal titolo Débris de mondes perdus: ambientato qualche centinaio di anni dopo la catastrofe sopra descritta, vede l’umanità rimasta cercare di aggrapparsi a qualcosa, per provare a ricominciare, o anche solo per sopravvivere, in un mondo che ormai più non gli appartiene. Anche musicalmente non ci allontaniamo dagli aridi ed allucinati territori già battuti con il precedente lavoro (e più in generale presenti in tutta la discografia degli Abraham): sludge quindi, oscuro, buio, cadenzato, martellante, e in un certo qual modo tribale. La furia dei Nostri, veicolata in maniera magistrale dall’interpretazione vocale di Dave Schlagmeister, si alterna a momenti più atmosferici nei quali la tensione cresce, pulsa e gorgoglia: è tangibile come sia solo una questione di tempo prima che la tempesta riprenda la sua foga. È uno sludge che si unisce anche a ritmiche ai limiti del post-punk più abrasivo e che ricorda qualcosa degli Atriarch o dei The Black Heart Rebellion: merito probabilmente del già citato “tribalismo” della proposta dei Nostri, basato su una sezione ritmica che si fa strada a colpi di basso pulsante e batteria avvolgente e quadrata, e merito soprattutto del cantante, che con tono declamatorio e graffiante accompagna l’ascoltatore tra le rovine di questo mondo perduto.
Non è facile approcciarsi alla musica degli Abraham, anche se stavolta la durata del lavoro ci aiuta. La proposta degli svizzeri si è sempre contraddistinta per una certa ricercatezza e difficoltà ad essere assimilata, colpa forse di una mai troppo nascosta ambizione dei ragazzi nel voler fare “troppo”, nel voler mettere troppa carne al fuoco finendo per strafare. Tutti i dischi finora usciti avevano infatti sempre peccato di una certa mancanza di filo conduttore, l’ascoltatore o si perdeva nei meandri delle strutture innalzate dai Nostri o all’opposto non ne rimaneva prigioniero e tutto scorreva velocemente e senza lasciare segno. Ma stavolta sembra che la band sia riuscita a trovare la quadratura del cerchio: di otto pezzi almeno cinque, forse sei sono assolutamente meritevoli di essere citati, e la restante parte di certo non abbassa più di tanto il voto generale. Particolare menzione meritano soprattutto i tre brani posti in chiusura, tra i quali spicca senza dubbio la roboante “Black Breath”, nella quale per l’occasione i Nostri si avvalgono del contributo di una seconda voce, quella spettrale, lontana e gelida di Emilie Zoé, loro concittadina.
Al quarto tentativo, dopo un debutto incoraggiante e due lavori più sotto tono, gli Abraham tirano una bella spallata al mondo dello sludge con Débris de mondes perdus, un lavoro finalmente maturo, fruibile e in un certo qual modo originale. Avevamo qualche remora prima di approcciarci a questo disco, probabilmente a causa degli album precedenti così difficili e tutto sommato non così soddisfacenti, ma ogni dubbio è stato fugato già con il primo ascolto. Disco consigliato per scoprire il mondo degli Abraham, o per rivalutarli se siete rimasti scottati o insoddisfatti dalle precedenti uscite della band.
(Pelagic Records, 2022)
1. Verminvisible
2. Blood Moon, New Alliance
3. Maudissements
4. Ravenous Is the Night
5. Our Words Born in Fire
6. Fear Overthrown
7. A Celestial Funeral
8. Black Breath (feat. Emilie Zoé)