Avevo sentito parlare di Bummer sul finire del duemilaventi, quando realizzarono uno split 7″ con The Body (ora sold out), che ascoltai distrattamente, preso da altre priorità. Me li ritrovo oggi, a distanza di un anno con un album devastante, che mi ha entusiasmato ben oltre quello che avrei potuto pensare. Il loro è stato un percorso di crescita eccelso che li ha portati nel giro di tre anni, vale a dire dal debutto con Holy Terror, ad essere uno dei gruppi di punta del noise a livello mondiale. Il terzetto arriva da Kansas City (Missouri), nel pieno del Midwest, la regione delle grandi pianure di grano dove il nulla regna incontrastato. Partendo proprio dalla soffocante assenza di prospettive legata al territorio natio i tre traggono la forza interiore per scagliarsi contro la noia dell’opprimente e ripetitiva quotidianità, e lo fanno con un album, questo Dead Horse che è senza dubbio una delle note più liete di un’annata da dimenticare per tanti, troppi motivi.
Come i The Body anche i Nostri approdano alla Thrill Jockey Records, con cui esordiscono proprio con questo loro secondo album. Ventinove minuti di sludge noise che non concede sosta all’ascoltatore, tenendolo sempre sulla corda con la sua costante e trascinante intensità. Da un punto di vista strettamente concettuale l’album si scaglia contro quella che loro identificano con la “feccia della società” (e che io visti i titoli non fatico a identificare con l’ipocrita buonista nonché radical chic Springsteen), contro chi ha ignorato il problema ambientale, con chi ha devastato socialmente ancor prima che economicamente il paese. Gridano contro l’assurdità della vita moderna e lo fanno con un tocco di humor nero che strizza l’occhio ad una visione nichilista delle prospettive sociali. Sono loro stessi a dichiarare come i brani del disco “siano influenzati da quanto può essere vuota e minuscola la vita a Kansas City e dalle storie che ne derivano”. Il loro è un esplicito invito a non prendere in considerazione il Midwest, e in particolare la loro zona, in caso volessimo attraversare gli USA. Lì non c’è (più) nulla. Restano in piedi solo le macerie di un capitalismo che fu. Per il resto c’è solo la disillusione di chi anche volendo non riuscirà mai a fuggire mentalmente da lì. Musicalmente invece non possiamo che concordare con chi vede nel noise rock la naturale evoluzione di quel grunge sporco, scorretto ed estremamente diretto, che nei primi anni novanta stravolse il mondo musicale. Quello dei Bummer è infatti un muro sonoro che respinge qualunque positività e che li colloca all’apice di quella scena in cui il suono iper distruttivo racconta una società al collasso senza peli sulla lingua. Il trio è la quintessenza della “sporcizia sonora” e non fa mistero del fatto di sentirsi parte di un’élite che li configura tra i più rappresentativi, con la faccia tosta di chi è consapevole del proprio valore, e ha la sfrontatezza di non volersi far accostare a chi è venuto prima di loro. Se è vero che la musica riflette in modo quanto più fertile possibile la somatizzazione del dolore, i Bummer devono averne mangiata di merda fino ad oggi, per essere riusciti a realizzare un album come Dead Horse. La depressione delle desolate e infinite pianure di grano trova perfetta rappresentazione in un album di questa intensità, che sin dalle prime battute satura l’aria togliendoci il respiro. Man mano che si procede nell’ascolto si ha la sensazione di essere lanciati dentro un’auto che rincorre l’orizzonte, consapevole che si tratta di un viaggio che oltre a non avere senso alcuno non avrà neanche fine.
In sostanza Dead Horse è un album che ti strappa la pelle di dosso per lanciarla ad un branco di maiali affamati rinchiusi in un recinto chiamato “società civile”. Disilluso e realisticamente ancorato all’idea di fotografare un mondo in costante declino, il disco ci dice che non c’è veramente mai fine al peggio, e che il buio che possiamo toccare con mano è nulla rispetto a quello che deve ancora venire. In chiusura segnalo la presenza come special guests di Sean Ingram dei Coalesce e di Matt King dei Portrayal Of Guilt. Serve aggiungere altro?
(Thrill Jockey, 2021)
1. JFK Speedwagon
2. Barn Burner (You Boys Quit Whippin’ Those Whips)
3. I Want to Punch Bruce Springsteen in the Dick
4. E1M1
5. Donkey Punch
6. Juice Pig
7. Kid Spock
8. Quadruple ZZ Top
9. False Floor
10. Magic Cruel Bus
11. Rareware