Il 2022 vede il ritorno sulle scene dei finlandesi Amorphis con il loro quattordicesimo album in studio, dal titolo Halo: cosa aspettarsi dalla nuova fatica del combo? Nulla di nuovo, ve lo diciamo subito. Eppure non tutto è da buttare, anzi; ma andiamo con ordine.
I finnici sono una band estremamente prolifica: un rapido sguardo alla discografia riportata su Wikipedia e ci si rende subito conto che i Nostri difficilmente lasciano trascorrere più di tre anni tra un disco e l’altro, almeno in tempi recenti. Ora, se sei così produttivo musicalmente le cose sono due: o sei una miniera di idee e riesci a stupire di volta in volta, sfornando sempre prodotti diversi ed innovativi, o hai individuato la formula vincente e hai deciso di battere il ferro finché è caldo. Gli Amorphis, almeno gli attuali, appartengono alla seconda categoria: a spanne possiamo tranquillamente dire che è dal 2009/2011 (anni questi di Skyforger e The Beginning of Times) che il gruppo ha smesso di rinnovare il proprio suono. Sì certo, di volta in volta vengono introdotti piccoli miglioramenti, aggiustamenti di tiro, ma di fatto la minestra è sempre la stessa da una decina di anni a questa parte. Forti però di un seguito notevole e di una fan base imperterrita, Joutsen e soci non vedono il motivo di snaturarsi, pertanto continuano tranquilli sulla propria strada, e ogni album coincide bene o male con delle buone vendite e dei buoni ascolti. Andando nello specifico su Halo la situazione sopra descritta si ripete immancabilmente: pezzi incredibilmente melodici, studiatissimi, strutture perfettamente rodate, prevedibili se vogliamo, ma assolutamente catchy, basate su alternanze tra momenti epici ed altri più rabbiosi, clean e growl, aperture solari e cupe accelerazioni improvvise. Una base di death melodico (annacquato quanto volete) unito a progressioni figlie di un amore per il prog psichedelico settantiano (da sempre marchio di fabbrica degli Amorphis), saltuari riferimenti al folk finlandese con inserimenti di strumenti della tradizione, rimandi al passato della band (in certe parentesi più oscure e pesanti) e chiaramente Tomi Joutsen. Tomi è un Signor cantante, una bestia da palco, dotato di un timbro riconoscibile tra mille sia nel clean potente e evocativo sia nel growl rabbioso: una garanzia e un sicuro asso nella manica per il successo di ogni pezzo. La recensione potrebbe di fatto chiudersi qui: la maggior parte dei brani presenti in Halo avrebbero potuto essere inseriti anche nei dischi precedenti e probabilmente non ce ne saremmo accorti, tanto è sottile la linea di demarcazione che li separa, in quanto a stile, dai loro predecessori. Probabilmente c’è un maggior sbilanciamento sulla prima parte del disco, dove sono concentrati i pezzi migliori: “Northwards”, “On The Dark Waters”, “The Moon” e “When The Gods Came” sono canzoni dall’ottimo piglio, nelle quali si realizza perfettamente e con successo l’Amorphis-pensiero; piace anche la conclusiva “My Name Is Night”, notturna e malinconica come il titolo lascia intendere, una chiusura in tonalità più dimesse ma assolutamente valida che rimanda a certe cose sentite nel vecchio Silent Waters.
Agli Amorphis non si può voler male. Sì, ad essere brutali possiamo dire che fanno sempre lo stesso disco. E sì, possiamo dire che le canzoni sono un po’ tutte uguali e alla lunga sfociano nell’anonimato. E infine sì, possiamo anche riconoscere che ormai fanno dischi per i loro fan, e che alla lunga il giochino rischia di annoiare anche loro. Ma se andiamo a valutare la caratura di ogni singolo disco, estrapolandolo dalla discografia e giudicandolo come un unicum, non possiamo non riconoscere ai Nostri delle indubbie capacità tecniche, che si traducono in una padronanza assoluta della materia e in una conoscenza ormai estremamente precisa di cosa vuole il pubblico da loro. Visti in questa ottica va constatato che ogni canzone è tecnicamente perfetta, anche se non tutte sono sullo stesso livello in quanto a coinvolgimento emotivo, e dunque alla fine gli Amorphis con Halo portano a casa la pagnotta anche stavolta. Chi li ha seguiti sin dai tempi di Elegy ormai sa che certe sonorità non torneranno più, eppure gli vogliamo bene lo stesso, perché alla fine suonano familiari, e sai che con loro andrai sempre sul sicuro.
(Atomic Fire Records, 2022)
1. Northwards
2. On The Dark Waters
3. The Moon
4. Windmane
5. A New Land
6. When The Gods Came
7. Seven Roads Come Together
8. War
9. Halo
10. The Wolf
11. My Name Is Night