Conobbi i Ghost al terzo anno delle superiori, quando il video di “Cirice”, dal capolavoro della musica contemporanea Meliora, me li fece scoprire sulla tv di un amico. Da quei bambini vestiti da gargoyle ad oggi ne è passato di tempo e siamo arrivati, l’11 marzo scorso, ad Impera, quinto album degli svedesi. Ci troviamo per le mani un lavoro non immediato, che può lasciare interdetti ad un primo ascolto ma che, a differenza di quanto ci si potrebbe attendere, non rivela nulla di nuovo col passare del tempo. Il decente intrattenimento generale e la fulminante idiozia di certi passaggi rimangono, lì dove si credeva che ascolti successivi avrebbero svelato chissà quale mistero ecumenico.
Il lavoro apre con la coppia “Imperium”/”Kaisarion”, che la RAM del cervello elimina non appena suonata l’ultima nota. La opener dà infatti l’idea di voler suonare come un manifesto musicale, con i propri arrangiamenti sfarzosi e ricchezza di suoni, ma ben poco ne rimane dopo l’ascolto. Nonostante il pallido inizio, Tobias dà subito conferma di essere un validissimo interprete della scena musicale contemporanea, duttile e consapevole come sempre e come pochi. Si prosegue passando per il secondo singolo di presentazione dell’album, “Call Me Little Sunshine”, misteriosa ma senza il mordente che caratterizza tutti i brani di questo tipo dei nostri, “Majesty” o “Secular Haze” per citarne un paio. Con “Hunter’s Moon” gli spiriti si risollevano: la storia di ricongiungimento al chiaro di luna, scandita dalle secche note di un riff parecchio groovy, viene declamata da un accorato Tobias che qui troviamo in una delle migliori interpretazioni del lavoro. A metà di Impera compare “Dominion”, una fanfara funebre che ci introduce a “Twenties”, unico pezzo dell’album che davvero arriva là dove doveva arrivare. Esuberanti e scanzonate, le trombe e i tromboni che ci sbattono in questa acciaieria distopica incarnano alla perfezione l’affascinante artwork di Impera, a rappresentare il dominio assoluto di qualcosa di malvagio e dorato, di mai del tutto comprensibile. Il riff thrash del brano contrasta divinamente con le pompose orchestrazioni déco, ed è difficili non paragonare i nostri a degli Imperial Triumphant privi dello sforzo cervellotico dei newyorkesi. Un brano che vale l’ascolto dell’album, va detto. Ma è tutto qui. Il resto del lavoro al secondo ascolto già stanca, divenendo quasi autoreferenziale con l’ultima traccia, “Respite on The Spitalfields”. Da “Twenties” in poi tutto fila via, liscio ma non soddisfacente, come una birra tiepida quando si ha molta sete.
Non ho mai apprezzato particolarmente le recensioni cariche di riferimenti a vecchi lavori delle band in esame, perchè spesso puzzano di nostalgico e di saccente. Nel caso di una band come i Ghost, però, confronti con gli oscuri opali completamente fuori dagli schemi che i nostri sono stati in grado di comporre sono necessari. E necessario è anche interrogarsi sul come un (ormai sfumato?) genio come Tobias Forge possa aver dedicato le proprie energie alla produzione di qualcosa di così dozzinale e privo di ambizione. La domanda rimarrà probabilmente senza risposta. Resta detto però che, con quest’altra stecca (successiva al non di molto migliore Prequelle) i nostri stanno sempre di più accelerando la propria discesa “dal pinnacolo alla fossa”.
(2022, Loma Vista Recordings)
1. Imperium
2. Kaisarion
3. Spillways
4. Call Me Little Sunshine
5. Hunter’s Moon
6. Watcher In The Sky
7. Dominion
8. Twenties
9. Darkness At The Heart Of My Love
10. Griftwood
11. Bite Of Passage
12. Respite On The Spitalfields
13. Hunter’s Moon (Film Version / LV Exclusive Bonus Track)