Stige, Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete… sul finire dello scorso millennio li avevano attraversati tutti, i cinque fiumi che scorrono negli Inferi secondo la mitologia, tre ragazzi a stelle e strisce impegnati nel canonico cursus honorum di demo e compilation che generalmente precedono un debutto in gran spolvero sulle lunghe distanze di un full length, ma dopo quel promettente esordio avevano fatto perdere completamente le loro tracce, al punto da essere rubricati ormai alla voce “meteore”, peraltro non senza una discreta dose di rammarico, viste le premesse.
E’ quindi con grande sorpresa che, a vent’anni di distanza, ritroviamo improvvisamente sulla scena il moniker Hearse, con una line up confermata per due terzi (Gelal Necrosodomy ha sostituito alle sei corde Jeff Anderson) e un nuovo album che conferma e perfeziona ulteriormente le buone sensazioni suscitate al debutto. Senza per questo arrendersi alla dittatura delle rigide classificazioni di genere, sarebbe in realtà opportuno in via preliminare fare un minimo di chiarezza sulle coordinate artistiche della band, considerato che buona parte della critica tende tutto sommato immotivatamente a collocarli in una prospettiva funeral che riteniamo descriva solo molto parzialmente l’orizzonte creativo del terzetto, mentre il terreno più fertile di ispirazione è esposto su versanti doom/death di antica scuola, con reminiscenze classiche in bella mostra nei momenti più cadenzati. Certo, le atmosfere sulfuree e i miasmi malsani che esalano dalle tracce rimandano al mondo sotterraneo governato dalle divinità ctonie, ma si tratta più di un mondo di incubi e sofferenze che di un universo desolato in cui progressivamente i soffi vitali si spengono fino alla completa cristallizzazione, come prevedono i dettami della poetica funeral. Rispetto alla stagione-demo, va detto in premessa che questo Traipse Across the Empty Graves mette in campo una buona batteria di significativi scostamenti, segno inequivocabile di un processo di maturazione che innalza la proposta ben oltre una banale linea di galleggiamento in un mare ad alto tasso di affollamento. Siamo in sostanza discretamente distanti dalla declinazione oggi prevalente della materia doom/death, quella per intenderci dei cenacoli soprattutto scandinavi che hanno portato a definitiva maturazione i semi fecondi dell’albero mydyingbridiano, a favore di una sensibilità più antica che affonda le radici nella notte dei tempi sabbathiana ma, ancora di più, in quella seconda ondata doom che ha visto i Saint Vitus tra gli alfieri più rappresentativi e significativi. Stupisce (e strappa applausi…) soprattutto la centralità che gli Hearse riservano in tutto il platter ai riff, protagonisti assoluti in un processo che fin dalle prime note di ogni brano sembra finalizzato a preparare l’avvento di un fulmen in clausula che sopraggiunga a sciogliere la tensione o a esaltarla ulteriormente, a seconda degli episodi. Innegabilmente, soprattutto se ci si limita a un ascolto distratto e superficiale, il meccanismo può sembrare alla lunga ripetitivo e rischia di stendere un velo di uniformità potenzialmente in grado di impedire alle tracce di guadagnare in personalità e riconoscibilità, ma è altrettanto vero che è impossibile restare indifferenti di fronte alla disarmante semplicità con cui i Nostri riescono sempre a estrarre dal cilindro una linea melodica capace di cambiare le sorti di un brano apparentemente segnato dai tratti della prevedibilità. Altro passo avanti non indifferente rispetto al passato, la prova al microfono del vocalist Cazz Grant stavolta lascia decisamente il segno, spostandosi da uno scream spigoloso a un growl catacombale/luciferino che esalta le venature horror delle tracce, tormentando in modalità “controcanto corrosivo” il lavoro di una sezione ritmica prevalentemente alle prese con andature maestosamente solenni. Nove stazioni per poco più di quaranta minuti di ascolto complessivo, la tracklist di Traipse Across the Empty Graves riserva dunque motivi di interesse a ogni fermata, forse con la sola, parziale esclusione di una “His Majesty” che si aggira ostinatamente su lidi doom senza trovare un vero punto di decollo (e non sarà probabilmente un caso, visto che è l’unica traccia dove le sei corde non si avventurano in libera uscita). Per il resto, l’opener “A Pinebox Penance” riassume alla perfezione in una sorta di manifesto artistico cosa aspettarci dal menu, con la sua struttura bipartita tra un avvio avvolto da vapori densissimi e insalubri e una seconda metà attraversata da una vera e propria scossa elettrica grazie a una gestione delle chitarre tanto pulita quanto evocativa, che sfocia in esiti quasi hard rock. Difficile scegliere il piatto forte della compagnia, tra l’andamento dolente di una “Groans Below”, le movenze lovecraftiane di “Whispers of Sorrow”, su cui si stampa un finale orientaleggiante, le aperture in chiave blues di “The Hopeless Realm” o il sapore horror/cinematografico della conclusiva “In the Abstract Abyss”, ma forse vale la pena premiare la claustrofobica “The Nightmares Have Come” e, soprattutto, la sorprendentemente multicolore “The Wraith in the Fog”, dove il tema portante e l’assolo rompono gli argini e si impadroniscono subito della scena regalando un gioiellino di classic doom dalle nobili ascendenze ottantiane.
Un ritorno inatteso che certifica dopo vent’anni le qualità lasciate intravedere nelle fugaci apparizioni degli esordi, un approccio diretto e immediato che dimostra come sia ancora possibile maneggiare la materia doom/death seguendo la lezione del passato senza aver paura di apparire anacronisticamente fuori tempo massimo, Traipse Across the Empty Graves non ha la pretesa di ridisegnare i confini di un genere ma si muove con grandissima dignità in territori segnati da impronte di giganti. Noi li riaccendiamo, i fari sugli Hearse, con queste premesse è tutt’altro che tardi per ipotizzare un futuro ancora più convincente.
(Sinistrari Records, 2022)
1. A Pinebox Penance
2. Groans Below
3. The Wraith in the Fog
4. Whispers of Sorrow
5. The Hopeless Realm
6. His Majesty
7. Coma
8. The Nightmares Have Come
9. In the Abstract Abyss