Thomas Jefferson Cowgill ha sempre avuto le idee chiare circa la sua incarnazione King Dude. Un percorso iniziato poco più di dieci anni fa con Love, proseguito con Fear, Sex, e culminato dopo alcune divagazioni con il presente Death, disco che a detta del Nostro chiude di fatto una storia, un percorso che doveva necessariamente finire perché la verve creativa si stava seccando. E lo sapeva da tempo il buon King Dude, se è vero che con questo suo ultimo parto cerca di tirare le fila del tutto, non riuscendoci pienamente. Seppur in grado di rievocare le varie anime che nel corso del tempo hanno convissuto nel progetto, Death non colpisce in maniera particolare, suonando talvolta un po’ scarico, autocelebrativo e poco ispirato.
Il (neo) folk è stato messo da parte ormai da un po’, e anche in questo album ne riecheggiano soltanto alcune vibrazioni, mentre la voce grossa sembrano farla il post-punk, l’(american) gothic, il rock, assieme ovviamente all’allure da crooner che da sempre contraddistingue Cowgill. Spazio quindi ai Sisters of Mercy, al Lanegan solista, agli Smiths, ai The Mission, e chiaramente a tutto il bagaglio musicale di King Dude, con brani dal piglio deciso quali “O’ Darkness”, “Silver Cord”, “Everybody Goes to Heaven”, che preparano la strada per episodi più blues-oriented e polverosi come “Sweet Death” e “Cast No Reflection”, fino alla deflagrazione della melodia di “Out of View”, così minimale ed elettrica, quasi impalpabile se paragonata a quanto è venuto prima. Ma il mood generale si è ormai fatto crepuscolare e dimesso, il rock e le progressioni della prima metà del disco hanno lasciato spazio a toni più notturni e intimi, dove una melodia in puro stile Americana da jukebox di qualche diner fa da colonna portante per “Black and Blue”, per chiudere, dopo il sussulto finale di “Pray for Nuclear War”, con la pianistica “Lay Waste to the Human Race”, un po’ ruffiana nel citare l’ultimo Johnny Cash o Nick Cave.
Undici tracce e quaranta minuti dopo l’inizio di questo Death, cosa ci rimane dell’ultima fatica di King Dude? Senz’altro il ricordo di dischi passati oggettivamente buoni anche se non fondamentali per la storia della musica, che qui si affacciano qui e là con richiami più o meno evidenti. Ci rimane un compendio dell’evoluzione stilistica di Thomas Jefferson Cowgill, una mappa del suo percorso qui riassunto e portato a compimento. Ci rimangono dei pezzi carini ma che non incidono, che scorrono via senza sussulti, ma allo stesso tempo lasciano la curiosità nel capire quale strada vorrà intraprendere il Nostro per un prossimo progetto. Perché non ci sembra credibile che la storia artistica di Cowgill termini qui, senza dubbio si aprirà un nuovo tomo, e chissà quale incarnazione musicale vorrà assumere l’Artista in tale occasione.
(Ván Records, 2022)
1. Death’s Theme
2. O’ Darkness
3. Her Design
4. Silver Cord
5. Everybody Goes to Heaven
6. Sweet Death
7. Cast No Reflection
8. Out of View
9. Black and Blue
10. Pray For Nuclear War
11. Lay Waste to The Human Race