Lo confesso, l’arrivo in redazione di album tricolori mi procura ancora e sempre qualche preoccupazione, nell’eterno dubbio che la “conterraneità” e la spinta a sostenere la scena metal nazionale possano anche inconsapevolmente condizionare la penna, in sede di recensione, finendo per coltivare un occhio di riguardo per le band coinvolte anche a prescindere dai contenuti. Sull’altro piatto della bilancia, peraltro, il rischio è quello di incrementare il tasso di severità per paura di risultare troppo provinciali, con esiti non meno deleteri sul versante dell’oggettività e pari penalizzazione per gli artisti. Per affrontare una siffatta navigazione in acque potenzialmente agitate, quindi, non resta che staccare la targa ai lavori in ascolto, ricordando che il pentagramma è uno dei pochi linguaggi universali in grado di annullare distanze fisiche e temporali e di aggirarsi per il pianeta senza curarsi degli umani tratti di penna sulle cartine geografiche.
Certo, al momento della fatidica pressione sul tasto ON o PLAY, l’ideale sarebbe essere talmente coinvolti e travolti dall’ascolto da non avere il tempo di occuparsi di riflessioni “a latere” ed è proprio quello che succede con il ritorno sulle scene degli Ars Onirica, one man band romana dietro cui si cela il mastermind Alessandro Sforza. Reduce da un esordio come I: Cold che tre anni fa aveva già abbondantemente chiarito le potenzialità del progetto, il Nostro intraprende con questo secondo capitolo un percorso ancora più coraggioso e contemporaneamente ambizioso, alzandosi definitivamente in volo e sfoderando un lavoro che gli amanti del genere non faticheranno a riconoscere come segnato dai sacri crismi del miglior doom/death d’autore a spiccate tinte melodiche. Le premesse, come detto, erano già tutte nel debutto, ottimo calderone fumante di cavalcate telluriche e passaggi melodicamente orientati secondo le immortali lezioni di Katatonia e Paradise Lost, ma questo II: Lost riesce nell’impresa di spingersi ancora oltre, affinando gli aspetti formali senza perdere un solo grammo di carica emotiva e, anzi, modificando in parte la rotta per pescare ancora più a fondo nelle potenzialità offerte da un genere che ha fatto delle romite lande del Grande Nord il fondale iconico su cui proiettare malinconici abbandoni e turbamenti per le sorti individuali e collettive della nostra specie. La grande sfida, su queste frequenze, deriva dall’inevitabile incontro con la band che più di tutte ne incarna planetariamente i canoni, quegli Swallow the Sun che da un ventennio sono i numi tutelari del pantheon doom/death e qui davvero gli Ars Onirica riescono a sorprendere per l’equilibrio e il senso della distanza da tenere rispetto a un totem che rischia di incenerire eventuali sprovveduti che azzardino avvicinamenti a caccia di visibilità senza l’opportuna apertura alare. Chi negli anni ha imparato a frequentare il combo di Jyväskylä sa bene che il segreto di Juha Raivio e soci va ben oltre la capacità di saper magistralmente alternare esplosioni di ritmo e improvvisi squarci intrisi di lirismo, puntando piuttosto sull’umano carico emozionale figlio della nostra condizione di realtà finita circondata da Infiniti che ci sovrastano impassibili e insensibili alle nostre tragedie, per le quali, in ultima analisi (come dimostra del resto la storia personale dello stesso Raivio con la sua sfortunata musa ispiratrice Aleah Stanbridge), resta solo la possibilità di sublimarsi in chiave artistica. Il grande merito di II: Lost è proprio quello di riuscire a disegnare atmosfere dai contorni sfumati in cui va in scena l’eterno scontro tra la propensione titanica a ribellarsi all’ordine che il Destino ha costituito e la rassegnata e cosciente accettazione della nostra impotenza, su scale così grandi. In questo disegno, Alessandro Sforza utilizza magnificamente tutti i colori e le sfumature offerte dalla tavolozza del genere, da una sezione ritmica potente ma all’occorrenza in grado anche di aggiungere tocchi spettrali, allo splendido lavoro delle sei corde, sia che si tratti di aggiungere carburante malinconico alla trama sia quando l’obiettivo è accompagnare i passaggi più cadenzati. Il progresso più significativo rispetto all’esordio, però, va probabilmente individuato nella componente vocale, tra uno scream appuntito che non disdegna un retrogusto vagamente “teatrale” e un growl profondo ma non catacombale che non sbaglia mai i tempi dell’ingresso in scena, per una resa che rinvia a un’ipotetica linea di congiunzione tra un Anders Jacobsson di casa Draconian e sua maestà Mikko Kotamäki. Forse qualche piccolo appunto può essere mosso alla scelta di puntare su un clean a volte un po’ troppo sbilanciato sul versante melodico là, dove la lezione kotamakiana avrebbe probabilmente puntato piuttosto su un “sussurrato” in grado di valorizzare ulteriormente i riflessi rarefatti e crepuscolari, ma siamo davvero ai dettagli all’interno di un perimetro complessivamente di valore assoluto. Sette tracce per poco più di quaranta minuti complessivi di ascolto, II: Lost accende i motori in modalità acustico/strumentale con i delicati ricami dell’intro “Lost”, ma bastano pochi secondi alla successiva “My Heart… Your Tomb” per innalzare un muro doom prima massiccio e poi avvolto da vapori malinconici che ne insidiano poeticamente la compattezza. Catturata l’attenzione, l’album non molla più la presa del coinvolgimento e non conosce un solo attimo di calo di tensione, regalando una tracklist in cui è davvero difficile scegliere i momenti migliori, vista l’abbondanza dispensata a piene mani. Ecco allora la spina dorsale death-oriented di “Daydream” o le spire ipnotiche e quasi voluttuose della coppia ad alta potabilità e fruibilità immediata (senza mai scadere nell’easy listening da accatto) “Regret”/”Together… Alone”, ma indubbiamente i devoti delle sonorità scandinave troveranno pane per i propri denti soprattutto nei due episodi dal minutaggio più sostenuto, con la conclusiva “On the Wall” che si aggira su sentieri illuminati da una luce fioca che rende magico il paesaggio e, soprattutto, con “Forever and a Day”, la perla più multicolore della compagnia nonché la più articolata, potendo contare su nove minuti di sviluppo. Qui c’è davvero spazio per tutti gli spiriti creativi del mastermind romano, che arricchisce l’impasto doom/death di strappi black e trasognate soste acustiche animate da sei corde medievaleggianti, prima di far convergere tutto in un incantevole assolo di scuola Alcest su cui cala il sipario.
Tempeste che sollevano onde minacciose per poi placarsi lasciando il posto a tranquille lagune dalle acque appena increspate, flash abbaglianti che giocano con le ombre creando sequenze cinematografiche in chiaroscuro, devozioni per nobili modelli declinate con le opportune accortezze, II:Lost è un album animato dal sacro fuoco del respiro internazionale, avanzando autorevolissime credenziali per figurare ai vertici dei consuntivi doom/death di fine anno. Gli Ars Onirica hanno piazzato un colpo da pietra miliare di un’intera carriera, ma l’impressione è che ci siano spazi per ulteriori miglioramenti e sorprese, siamo pronti a scommetterlo.
(Ardua Music, 2022)
1. Lost
2. My Heart… Your Tomb
3. Daydream
4. Regret
5. Forever and a day
6. Together… Alone
7. On the Wall