I tedeschi Disillusion sono in piedi dal lontano 1994. La loro è una storia piuttosto complessa, fatta di numerosi avvicendamenti. Non a caso il loro primo album arriva esattamente dieci anni dopo e ne passano ben tredici dal secondo al terzo. Oggi del nucleo originario è rimasto soltanto Andy Schmidt, voce e chitarra, ma all’occasione, negli anni anche bassista e tastierista. Inevitabilmente il loro è un sound che negli anni ha subito ben più di una mutazione, uscendo (fortunatamente, per chi scrive) da quegli schemi prog death metal in cui rischiava di fossilizzarsi e spegnersi.
Con Ayam Schmidt riesce ad ampliare la sua idea di musica, affrancandosi in modo forse definitivo dal death metal. L’album rappresenta la vetta qualitativamente più alta di quella che è stata la loro carriera fino ad ora. Al netto di alcune concessioni eccessivamente autoreferenziali in termini di tecnicismi che risultano superflui rispetto al “tiro” dei brani, il disco è comunque decisamente vario ed interessante, soprattutto nelle parti in cui si spoglia dell’eccessiva complessità, e rivaluta l’uso della voce di Schmidt, autentico strumento aggiunto rispetto al passato, che valorizza al massimo le parti intimiste che alla lunga finiscono per fare la differenza.
Possiamo vederlo quindi come un album di passaggio verso quella maturità che possa permettere loro di distaccarsi da qualunque tipo di definizione di comodo tesa ad inquadrarli. La strada sembra tracciata, e imboccata al punto di non poter più fare alcuna variazione riguardo la destinazione finale. Ayam è un album che picchia sicuramente duro, ma lo fa in modo elegante, senza eccedere in soluzioni facili, di impatto immediato, scegliendo di far sentire il suo lato più suadente senza vergognarsi di mostrarsi nudo alla distanza.
(Prophecy Productions, 2022) 1. Am Abgrund
2. Tormento
3. Driftwood
4. Abide the Storm
5. Longhope
6. Nine Days
7. From the Embers
8. The Brook