Un catalogo sempre più sterminato, una diffusione sempre più planetaria, un genere in costante e spesso caotica espansione che ha fatalmente imbarcato legioni di mestieranti non sempre sorretti dal sacro fuoco dell’ispirazione e non di rado solo comodamente acquattati all’ombra dei Maestri, lo stato di salute del movimento post è da sempre sotto la lente di ingrandimento dei puristi più ortodossi, perennemente alla ricerca di motivi e pretesti che consentano di trascinarne tutti gli alfieri davanti a un tribunale pentagrammatico, per decretarne la definitiva espulsione dal metal consesso.
Indipendentemente dai gusti personali e da alcune oggettive zone d’ombra, però, resta il dato di fatto incontrovertibile che post-rock e post-metal abbiano dispensato in questi anni perle di assoluto valore, segnalandosi sul campo come uno dei generi più dinamicamente sperimentali e coraggiosi. Non stupisce quindi che, a dispetto di una collocazione di nicchia e lontana dai riflettori, si aggirino sulla scena band qualitativamente di tutto rispetto ed è sicuramente questo il caso dei rýr, quartetto che, a dispetto del ricorso al vocabolario islandese per la scelta del moniker, viene da Berlino e con questo Transient affronta la sempre insidiosa prova-sophomore a tre anni di distanza da un promettente esordio come Left Fallow. Il perimetro artistico dei Nostri ruota complessivamente intorno a un post-metal strumentale cinematograficamente visionario, ma va detto in premessa che il piatto forte del menù è una capacità non comune di avventurarsi contemporaneamente in territori diversi, accettando la sfida della contaminazione e ampliando così notevolmente i confini della proposta. Al di là della vexata quaestio se la strumentalità pura sia o meno la modalità di espressione per antonomasia della poetica post, resta il fatto che la rinuncia al cantato comporta diremmo quasi fisiologicamente un doppio ordine di problemi per chi scelga di avventurarsi su questa rotta, tra rischi di calo della tensione e del coinvolgimento sulle lunghe distanze e uno spostamento della bilancia sul piatto della tecnica che finisce inevitabilmente per trasmettere una sensazione di algido distacco, ma i tedeschi confermano le buone impressioni suscitate nel debut, restando a più che debita distanza dalla soglia della saturazione. La strada scelta è quella di consistenti iniezioni doom, con un parziale arretramento dei riflessi atmospheric black che avevano contraddistinto il predecessore, per una resa che in diversi passaggi imbarca suggestioni solenni e quasi liturgiche. Lungi dall’azzardare approcci a sfondo epico, però, la prua del vascello rýr si indirizza piuttosto verso la dimensione del viaggio cosmico, alla ricerca di una sorta di trasposizione musicale degli spaventosi spettacoli celesti che ci sovrastano. E’ su queste coordinate che, al netto dei prevedibili richiami ai mostri sacri Russian Circles e Pelican (con citazione d’obbligo anche per i conterranei Omega Massif), il parallelo forse più immediato è con i Rosetta di The Galilean Satellites e a quella “musica per astronauti” che ha fatto la fortuna di Michael Armine e soci, con l’avvertenza, peraltro, che non si tratta di una sovrapponibilità tout court (il combo di Filadelfia coltiva una dimensione sognante e di abbandoni decisamente più marcata rispetto ai berlinesi). Da un’altra prospettiva, l’artwork della cover invita a non sottovalutare anche una possibile, alternativa lettura in filigrana, che conduca ad approdi distopici e a un soffocante senso di claustrofobia, del resto perfettamente compatibile con quello che ci aspetta inesorabilmente alla fine di ogni viaggio galattico, un gigantesco buco nero di cui restare per sempre prigionieri. In ogni caso, sia che lo si immagini perso in orizzonti sconfinati o piuttosto ripiegato sull’infinitamente piccolo dei tormentati microcosmi individuali, il quartetto si conferma come eccellente cinepresa capace di immortalare fotogrammi dal grande impatto emozionale secondo la nobile lezione Cult of Luna e di riproiettarli sui nostri schermi inchiodandoci alla visione. Non stupisce, quindi, che l’album funzioni al massimo delle proprie potenzialità se trattato, se non come concept vero e proprio, quantomeno come un “unicum” piuttosto che come somma di episodi, dando alla musica il tempo di attenuare la percezione della realtà. Cinque tracce per un ascolto complessivo di poco inferiore ai quaranta minuti, Transient chiarisce subito con l’opener “Trajectory” che il viaggio sarà un distillato di atmosfere dilatate, passaggi a più alto dosaggio muscolare e momenti cadenzati, il tutto mediato da un approccio prevalentemente melodico che non strappa mai la tela della trama. Se la successiva “Derisive” alza il tasso doom dell’insieme assumendo un’andatura sinistra ed esaltando una sezione ritmica granitica e potente, con “Alienated” tornano a soffiare i refoli atmospheric black del debut, sottolineati dall’ottimo intreccio delle sei e quattro corde, che fanno depositare sul brano una patina vagamente psichedelica. Detto di una title-track che incupisce inizialmente e in chiusura il paesaggio circondando un lungo e trasognato stop centrale su cui il basso di Kay stampa un ricamo struggente, il gran finale è affidato al best of della compagnia, “Shattered”. È qui che possiamo apprezzare appieno le qualità della band, tra cambi di tempo continui, strutture articolate nella loro relativa, apparente semplicità e una vena narrativa ad ampio spettro, che consente finanche divagazioni in territori quasi prog per poi riprendere il filo del discorso svelando anfratti intrisi di malinconia, prima dei fuochi d’artificio conclusivi su cui scorrono i titoli di coda… e gli applausi in sala.
Potente e dinamico ma capace anche di spalancare squarci liricamente eterei, perla cinematografica impreziosita da una straordinaria capacità di alternare registri e fondali tra visioni imponenti e un senso di inquietudine costantemente in agguato, Transient è un album che attesta la straordinaria, intatta vitalità del pianeta post quando sulla sua superficie atterrano navicelle in grado di andare oltre i banali carotaggi di una superficie oggettivamente troppo affollata. Prendendo in prestito antiche formule da cronisti sportivi che volevano segnalare i colpi più spettacolari sui campi da tennis, circoletto rosso sul moniker rýr, siamo pronti a scommettere che ne sentiremo ancora parlare.
(Golden Antenna, 2022)
1. Trajectory
2. Derisive
3. Alienated
4. Transient
5. Shattered