“Diviso tra ragione e sentimenti (spesso a tinte dark), tra uno squillante periodo chiaro e un periodo scuro visionario, onirico, sconvolgente e reso ancora più terrificante dalle conseguenze sia fisiche che mentali del morbo, ma proprio per questi motivi incredibilmente affascinante, Goya resta ancora in grado di colpirci nel profondo.”. Così scrive Francesco Gallina nel capitolo dedicato all’artista spagnolo del suo fondamentale Dipinto sull’acciaio, uno dei testi che, indagando il rapporto tra heavy metal e pittura, non dovrebbe mancare sugli scaffali di tutti coloro che, come noi, non si sono mai rassegnati all’idea di un genere musicale vittima di luoghi comuni quanto mai fuorvianti (e deprimenti) che lo identificano solo come prodotto a uso e consumo di loschi figuri per lo più lungocriniti dediti a chissà quali attività antisociali, che osano sfidare l’impero trionfante dei ritmi latini, delle rime cuore/amore, dell’agghiacciante nouvelle vague a colpi di bro/fra e, in generale, di tutto ciò che ha reso la musica un fenomeno “da cassetta”. Ovviamente, il libro in questione è focalizzato sugli artwork delle cover degli album che hanno tratto ispirazione da dipinti, tele, quadri e illustrazioni, ma siamo sicuri che il buon Gallina non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di scrivere almeno qualche riga su un sestetto toscano che ha deciso di diventare pinacoteca vivente, a partire dalla scelta del moniker, passando per il titolo del platter, per approdare ai titoli delle singole tracce.
Stiamo parlando dei Cane di Gøya e, al di là dell’apparente tocco di esotismo che sembra aver presieduto siffatta scelta, il nome scelto dalla band è un primo, imprescindibile richiamo all’opera del Maestro. Il riferimento, infatti, è al cosiddetto Perro enterrado en arena, una delle quattordici pitture murali su intonaco (poi trasferite su tela e attualmente esposte al Prado) che sono la punta di diamante delle Pinturas Negras dell’artista di Fuendetodos. La critica si interroga da sempre sul significato profondo di quel cane che fa capolino in un tripudio di gialli e ocra imprigionanti, con un atteggiamento e uno sguardo che sembrano trasmettere innocenza ma anche e soprattutto paura e solitudine e che in molti hanno interpretato come simbolo paradigmatico dell’umana esistenza, trascinata verso una fine solitaria dall’inarrestabile flusso del Tempo e del Destino indipendentemente da quanto i singoli abbiano meritato o demeritato nel proprio insignificante tratto di cammino. Chiarito da subito che per seguirne le gesta è bene approfondire il retroterra culturale ad ampio spettro su cui germoglia la loro musica, i Nostri raddoppiano con la scelta del titolo dell’album, La V del Sordo, che fa riferimento alla dimora del pittore alla periferia ovest di Madrid e che ospitava sulle pareti di due grandi sale i dipinti murali citati in precedenza, sette per piano, occupando gli spazi tra le porte e le finestre. In questa residenza matura e giunge al suo acme artistico lo strappo tra il Goya dei ritratti su aristocratica commissione della prima fase e il progressivo affermarsi di ombre cupe e pessimiste probabilmente accentuate dalla malattia (sifilide o saturnismo?), ma figlie in prima istanza di una mutata visione e percezione del mondo. Allo stesso modo, le quattro tracce in cui si articola il viaggio sono altrettante, ipotetiche colonne sonore per una non meno ipotetica visita guidata che ci conduca al cospetto di quattro capolavori del Maestro, che si consiglia caldamente di recuperare per sollecitare anche la vista, oltre l’udito d’ordinanza, durante l’ascolto dei brani. Per rendere con i migliori effetti la temperie culturale chiamata in campo, i Cane di Gøya puntano su un tessuto di base riconducibile complessivamente ad orizzonti post-rock/metal, ma su quelle trame innestano ricami e divagazioni che sconsigliano classificazioni di genere troppo rigide. La capacità di maneggiare disinvoltamente e con accortezza una materia così articolata potrebbe in verità sembrare non scontata, per quello che è a tutti gli effetti un debutto, ma va detto che i protagonisti di questa nuova avventura sono tutt’altro che degli sprovveduti novellini e possono vantare onorate militanze in diversi progetti dell’area toscana. Si spiegano così le ipnotiche e sinuose spire doom che avvolgono magistralmente l’opener “Saturno Devorando A Su Hijo” e che i più attempati forse accosteranno con fondate e sottoscrivibili ragioni a uno dei brani più eretici della carriera degli Scorpions, quell’ “Animal Magnetism” che chiude l’omonimo album datato 1980, prima di un finale a sorpresa in cui prog e finanche tocchi djent fanno deflagrare inattesi fuochi d’artificio, mentre il cantato imbarca suggestioni liturgiche. L’onda prog si ingrossa nella successiva “El Sueño De La Razón Produce Monstruos”, ma, per una sorta di bilanciamento o contrappasso, si rafforzano anche le dissonanze e gli strappi vocali abrasivi di stampo black, con l’ugola di Samuele Storai in gran spolvero anche in modalità voce narrante fuori campo nelle magnifiche radure melodiche che si impadroniscono della traccia nella seconda metà. Centro pieno anche per “El Aquelarre”, che presidia l’ortodossia post con movenze poeticamente isisiane (nota di merito e citazione d’obbligo, qui, per la prova al basso di Lorenzo Cigna) intrecciandole con quegli elementi atmosferici che diventano assi portanti nella conclusiva “La Lámpara Del Diablo”, che si aggira a lungo su un diafano ed etereo altopiano ambient disegnando traiettorie alcestiane che vanno a spegnersi in rarefazioni drone. Ed è a questo punto che ci accorgiamo dell’unico, vero limite del lavoro, perché dopo meno di mezz’ora il sipario è già calato e noi, al contrario, restiamo seduti in sala aspettando ancora qualche regalo. Invano, purtroppo…
Un esordio sontuoso, un’opera multimediale sorretta da velleità culturali pienamente nelle corde della band, melodie, muscoli e graffi in mutevoli ma sempre impeccabili dosaggi, La V del Sordo è un album che annuncia ad altissima voce la nascita di una stella di primissima grandezza. Gallerie d’arte di tutto il mondo preparatevi, i Cane di Gøya sono pronti ad accompagnare i visitatori in una nuova ed entusiasmante esperienza.
(Black Terror Distro & Store, Cave Canem DIY, Controcanti Produzioni, Fresh Outbreak Records, Smelly Cat Records, Vollmer Industries, Zero Produzioni, 2022)
1. Saturno Devorando A Su Hijo
2. El Sueño De La Razón Produce Monstruos
3. El Aquelarre
4. La Lámpara Del Diablo