L’uscita di un nuovo lavoro dei parigini Dark Sanctuary non può che essere accolto con gioia dagli amanti delle sonorità dark ambient. Sin dal 1996 i Nostri hanno sempre dato prova di grandissima maestria nel regalare emozioni ed atmosfere a chiunque decideva di approcciarsi al loro mondo, e questo Cernunnos, nono full nella loro carriera, non tradisce certo queste aspettative. Il dark ambient dei francesi è delicato, elegante, etereo, neoclassico: è un varco temporale che ci conduce in mondi antichi, popolati solo da rovine di regni che furono e che adesso hanno lasciato il posto ad una lussureggiante natura che tutto ha invaso. I muschi hanno cosparso di un verde smeraldo i muri dei castelli, le vetrate delle chiese sono state infrante e i tetti scoperchiati, e all’interno delle navate sono nati altissimi alberi dalle fitte chiome. Chi decide di ascoltare i Dark Sanctuary deve sapere che per la durata di tutto il lavoro sarà cullato da melodie malinconiche e fredde, algide, lontane come un sole d’inverno, ma spesso in grado di ammaliare come sirene. I Nostri non hanno mai fatto mistero di essere debitori nei confronti di alcune band uscite con la Cold Meat Industry, anche di quelle dal profilo più cupo e apocalittico, due tratti questi che qui e là emergono in Cernunnos, aggiungendo una nota maestosa e sacrale ad un lavoro che già di per sé brilla in più punti per una invidiabile magnificenza sonora.
Primo vero apice emotivo di questo album è probabilmente la title-track, pezzo che parte cupo e profondo, salvo poi essere animato da una verve dal sapore celtico (non a caso) che, poco dopo l’entrata in scena della bellissima voce di Dame Pandora (che no ha perso un grammo della sua potenza espressiva) esplode in un coinvolgente crescendo che ribalta completamente le atmosfere fino a quel momento costruite regalandoci una perla di folk marziale davvero toccante. “Cernunnos” è il quinto pezzo in scaletta: prima di esso non c’era stato un passo falso, con brani che prendendo spunto dalla sontuosa tristezza già sperimentata in lavori come Les Mémoires Blessées introducevano gradualmente gli elementi marziali e neofolk che poi sono stati egregiamente riassunti in questa canzone. La seconda parte del lavoro pare voler abbandonare le atmosfere più cupe e desolate per riabbracciare sentieri più propensi alla malinconia ma non meno nebbiosi: fa forse eccezione “Sólstöður”, animata com’è da pulsioni tribali e sciamaniche che, unite a spruzzate di drone e synth che vanno a creare un mood mistico ed ipnotico. La conclusione è affidata a “La Fin D’Une Âme (vers un nouveau rêve)”, brano che riprende un po’ quella che è la mitologia legata a Cernunnos quale simbolo della continua rinascita, dei cicli vitali di nascita/crescita/morte, e per estensione del tempo che passa con le sue stagioni: la dipartita di un’anima e il viaggio verso un nuovo sogno, quasi a voler dire che il percorso dei Dark Sanctuary non si vuole fermare qui ma vuole andare avanti chissà dove, chissà per quanto ancora.
Cernunnos è un album che necessita di tempo, calma e pazienza per poter sprigionare appieno la sua potenza. Ma la stessa musica dei Dark Sanctuary è così: può sembrare ampollosa, barocca, fine a sé stessa, ma se aprite loro il vostro cuore saprà farvi viaggiare con la mente e regalarvi profonde emozioni.
(Avantgarde Music, 2023)
1. Mater Oceanum
2. Les Dernières Gouttes De Pluie
3. Gloria Eterna
4. Yksin
5. Cernunnos
6. Asphodèle
7. Hiems
8. Ma Plainte
9. Sólstöður
10. Un Jour
11. La Fin D’Une Âme (vers un nouveau rêve)