Una fugace apparizione e una rapida scomparsa dalle scene… La storia delle band metal è costellata di moniker sorti e tramontati all’orizzonte nello spazio di un mattino e transitati con altrettanta rapidità da un ascolto spesso superficiale e sommario alla dimensione-archivio, destinati ad accumulare quel proverbiale dito di polvere che, una volta depositato, viene rimosso generalmente solo da archeologi pentagrammatici animati da velleità enciclopediche. Fortunatamente, però, qualche volta l’immane e sempre meritorio lavoro di chi tiene aggiornato il catalogo degli artisti che abbiano brandito anche solo per un attimo la bandiera di un genere riceve un inaspettato aiuto da una band che, dopo anni di silenzio, decide di ripresentarsi e riprendere il percorso interrotto, uscendo dalla modalità meteora.
È questo il caso dei portoghesi Carma, apparsi nel cielo doom a spiccate tinte black nel 2015 e subito dopo scomparsi dai radar nonostante un debutto che, pur complessivamente un po’ acerbo, aveva lasciato intravedere più di qualche buona idea e margini di miglioramento ampiamente alla portata del terzetto di Coimbra. Ed è dunque con discreta sorpresa ma anche con buone premesse che i Nostri riprendono il largo, affidandosi alle stesse coordinate artistiche del predecessore e dimostrando di aver messo a segno significativi passi avanti, al punto che possiamo tranquillamente annoverare questo Ossadas nella categoria degli album qualitativamente di tutto rispetto. Il salto di qualità è immediatamente percepibile a partire dal minutaggio complessivo, che quasi raddoppia rispetto al debut, ma si concretizza anche in virtù del lavoro artistico a margine del prodotto sonoro, grazie a un digipack che riproduce l’arte funeraria del cimitero di Conchada, a suggerire una chiave di lettura che preveda la compenetrazione di musica ed immagini. Con simili premesse (e sommando i titoli di album e tracce, immediatamente evocativi), sembrerebbe logico e inevitabile ipotizzare uno sbilanciamento sul versante funeral doom dell’ispirazione, ma, alla prova dei fatti, i Carma dimostrano di avere tutt’altro che reciso il cordone ombelicale che li lega al black atmosfericamente declinato, mantenendo saldi i legami con l’esperienza Everto Signum, di cui tutti i componenti della line-up sono stati protagonisti agli inizi della scorsa decade. Volendo sintetizzare il concetto estremizzandone gli esiti, potremmo parlare di un tentativo di incontro tra Agalloch e Mournful Congregation, con l’aggiunta anche di una spolverata di dark ambient in grado di aprire squarci liricamente orientati rendendo la miscela decisamente più eterea e meno monolitica. Sul fronte strettamente formale, oltretutto, i portoghesi dimostrano di avere ulteriormente affinato la tecnica degli stop and go di cui avevano già dato buona prova in passato e se a questo aggiungiamo la conferma del ricorso a intermezzi strumentali (stavolta legati dal trait d’union dell’acqua che scorre), ci rendiamo subito conto di essere al cospetto di un lavoro che non gioca le sue carte migliori sulla cristallizzazione del ritmo ma piuttosto su andature cadenzate e atmosfere malinconicamente soffuse, in cui si affaccia un gusto melodico a cui sono tutt’altro che estranei spunti eleganti e raffinati. Sull’altro piatto della bilancia, tocca alla prova vocale di Nekruss compensare le spinte armoniche, iniettando vapori acidamente abrasivi nelle trame in virtù di uno scream spigoloso che, al primo impatto, può sembrare una scelta discretamente azzardata, ma che, al moltiplicarsi degli ascolti, si rivela artisticamente funzionale al gioco di ombre e inquietudini delle tracce. Ulteriore freccia nell’arco della band, anche stavolta il terzetto sceglie di puntare lo sguardo sulla musica di fine Ottocento e se nel debut, in “Lamento”, la scelta era caduta sulle partiture del Peer Gynt affidate da Ibsen a Edvard Grieg, in questo Ossadas i riflettori si accendono sulla celebre Suite Gothique dell’organista francese Léon Boëllmann, la cui Toccata conclusiva riecheggia con buona resa in “Monumento”. Per affrontare al meglio l’ora abbondante di ascolto, è bene peraltro entrare subito in sintonia con la dimensione-concept della tracklist, articolata in una sorta di passeggiata tra le sepolture del cimitero di Conchada, pronte a ricordarci la vanità delle umane onnipotenze e dei nostri affannati strepiti terreni di fronte alla dura legge del Tempo, che in pochi istanti avvolge tutto nel silenzio e cancella ricordi e memoria. Lo stacco dalla realtà si materializza subito con i rintocchi ambient/rumoristici della diafana “Leirão 1”, che introduce il primo episodio strutturato del lotto, “Jazigo”, vero e proprio manifesto artistico con l’incarico di anticipare e definire gli assi portanti della poetica della band. Ecco allora che per metà percorso domina una base doom innervata da consistenti refoli melodici, finché, dopo uno stop praticamente totale del ritmo, irrompe sulla scena la sei corde di Æminus a disegnare ricami malinconici, mentre il mulinare d’arti sulle pelli di Igniferum ci ricorda che i lidi atmospheric black sono sempre a portata di prua. Tutte le stazioni successive del viaggio riprendono sostanzialmente questo schema, variando con accortezza dosaggi e combinazioni e aggiungendo continuamente particolari e dettagli in modo da tenere opportunamente lontani i rischi di monotonia ed eccessiva uniformità. Ecco allora il narrato quasi epico di Nekruss in “Memoria”, che si insinua in una trama malinconicamente struggente, o le spire voluttuosamente decadenti di “Paz”, che accennano riflessi mydyingbridiani, o anche l’andatura liturgico/cerimoniale di “Destino”, che osa finanche adombrare sullo sfondo un coro monastico a conferire solennità al percorso. E, prima che cali il sipario, fa abbondantemente il suo dovere anche la conclusiva “Saudade”, in cui lo scream fin qui prevalente lascia il posto a un growl sabbioso che incrementa il tasso di oscurità conducendoci al doppio arcobaleno finale, aperto da un assolo ipnoticamente declinato e chiuso da un ultimo strappo black.
Un buon punto di (ri)partenza che oltrepassa di slancio qualche limite evidenziato nella prova di esordio, un lavoro coraggioso che riesce nella mai banale impresa di far convivere sotto lo stesso cielo doom e black, Ossadas è un album che merita molto più di un ascolto distratto sulla spinta della curiosità per il ritorno di un moniker di cui sembravano essersi perse le tracce. Usciti dall’archivio e scossa la polvere dalle ali, l’auspicio è che i Carma stavolta ci restino definitivamente, sotto la luce dei riflettori.
(Monumental Rex, 2023)
1. Leirão 1
2. Jazigo
3. Memória
4. Leirão 4
5. Paz
6. Destino
7. Leirão 7
8. Monumento
9. Saudade