Belgio e post-metal, ovvero quando geografia e pentagramma si incontrano e danno vita a un connubio imprescindibile per gli accumulatori seriali di tutto ciò che è germogliato sui sacri tronchi Neurosis, Isis e Cult of Luna. In prima battuta, ovviamente, il pensiero vola subito alla supernova Amenra, ma è bene non trascurare il resto di una scena oltremodo ricca e articolata, a partire dall’affollata batteria di sensibilità ed esperienze riunite sotto le insegne del collettivo multimediale Church of Ra, passando per gli Steak Number Eight ripartiti come Stake dopo il cambio di moniker, per non parlare dei sempre troppo misteriosamente sottovalutati Oathbreaker della magnetica e carismatica Caro Tanghe.
Altrettanto e non meno misteriosamente rimasti (finora) confinati in una dimensione di nicchia, anche i valloni Lethvm hanno avanzato fin dagli esordi una serissima candidatura a un ruolo tutt’altro che secondario in un siffatto proliferare di progetti da tenere sotto i riflettori, in virtù di un’accoppiata di platter che, tra il 2017 e il 2019, avrebbe sicuramente meritato maggiore visibilità e attenzione, vista la qualità messa subito in campo dal quartetto. Come sempre, in casi come questi, è difficile individuare le ragioni che hanno impedito a due pur eccellenti lavori di riscuotere il dovuto credito, ma, dovendo azzardare una diagnosi, non ha probabilmente giovato al loro destino l’indubbia, consistente influenza dei maestri Amenra, che a un ascolto superficiale potrebbe suggerire un deficit di personalità, oltre che una sensazione di “già sentito”. Ma, se è pur vero che l’ombra del combo di Kortrijk si erge inconfondibile sullo sfondo con il suo carico di claustrofobiche e spigolose allucinazioni, va detto che i Nostri hanno sempre saputo ritagliarsi ampi spazi di autonomia, puntando da un lato sull’intensificazione della componente core e incrementando dall’altro i dosaggi doom, senza contare che, quando decidono di seguire più da vicino le orme dei Maestri, lo fanno così dannatamente bene da far scattare automaticamente la modalità “applausi” (provare per credere la magnifica “Ejla” che chiude il debut This Fall Shall Cease). Ora, a quattro anni di distanza da un sophomore come Acedia che aveva sostanzialmente confermato le ottime impressioni suscitate dall’opera prima, il terzo atto è affidato a questo Winterreise che, lo diciamo in premessa, ha tutte le carte in regola per certificare definitivamente l’iscrizione dei Lethvm al drappello di punta della scena post di respiro internazionale. Che non si tratti di un album banale è attestato innanzitutto da un piano di volo complessivo da far tremare i polsi, trattandosi di mettere in musica le composizioni di quel Wilhelm Müller che con il suo Viaggio d’Inverno aveva ispirato i 24 Lieder di Schubert, uno dei vertici assoluti del Romanticismo musicale oltre che palestra di rara complessità e ricchezza inventiva per tutti coloro che approcciano la musica classica, ma alla prova dei fatti l’impresa si rivela del tutto nelle corde della band, che riesce perfettamente a trasmettere l’intreccio tra rabbia, malinconia e solitudine indicato come stella polare dell’ispirazione. Sul fronte stilistico, la ricetta proposta conferma gli assi portanti delle prove offerte in passato, ma è innegabile un consistente incremento della componente melodica, che non di rado sfida gli impianti complessivamente acidi e stranianti dei brani senza che per questo si debba peraltro minimamente parlare di una sorta di addomesticamento degli spiriti più visionari e lisergici, che restano protagonisti per larga parte del viaggio. Tra le altre buone notizie, il quartetto dimostra di saper gestire impeccabilmente il flusso emozionale mischiando continuamente le carte anche all’interno delle singole tracce, che non si adagiano mai su un canovaccio standard, ma conservano e coltivano sempre significative dosi di imprevedibilità. Detto dell’ottima resa della sezione ritmica Lomartire/Matthys, graniticamente imponente nel suo incedere non di rado segnato dai tratti della solennità, e del non meno convincente contributo delle sei corde di Jean-Pierre Mottin nel disegnare atmosfere iniettate di vapori ora mefitici ora trasognati (con l’aggiunta di qualche proficuo strappo black), un capitolo a parte spetta alla prova al microfono del vocalist Vincent Dessard, degno discepolo di Colin H. van Eeckhout quando si tratta di ricorrere a uno scream lancinante per proiettarci in una dimensione in cui le visioni diventano incubi, ma altrettanto efficace quando entra in modalità interprete puro grazie a un clean in grado di spaziare da riflessi malinconicamente chiaroscurali a passaggi quasi liturgicamente declinati. Sei tracce dalla durata relativamente contenuta rispetto agli standard del genere, per un ascolto complessivo di poco superiore ai trentacinque minuti, Winterreise si apre con l’episodio probabilmente meno convincente dell’intero lotto, “Blank”, che rimane un po’ troppo sospeso tra accenni di tribalismo neurosisiano e un’andatura cadenzata dalle più che vaghe ascendenze doom, ma bastano pochi secondi alla successiva “Pretence” per trasportarci in un universo parallelo che prima scioglie i legami spazio-temporali con un avvio contemplativo, poi sembra chiudere tutto in un pesante sarcofago sonoro e infine si apre in una visione contemporaneamente inquietante e idilliaca. Tocca alle spire prima quasi cerimoniali e poi acuminate di “Torrents” riportare il cammino sui classici binari post metal, ma anche in questo caso è bene non coltivare troppe certezze, perché a metà percorso ecco che uno stop dalle movenze avantgarde rimette tutto in discussione preparando un tempestoso finale. Gli elementi cinematografici affiorati in “Torrents” si ritrovano in tutta la loro magnificenza nella perla della compagnia, “Carved”, autentico caleidoscopio capace di distillare in poco meno di sei minuti una pozione magica in cui l’acidità degli Amenra si combina con un delicato balsamo post-rock e stempera la tensione con un raffinato gusto melodico. Non manca il bersaglio neanche la tormentata “Mournful”, con gli eterei rintocchi vocali dell’ospite Elena Lacroix a far brillare riflessi sinistramente poetici, ma dovendo scegliere il secondo vertice assoluto del platter puntiamo sulla conclusiva “Night”, quasi disarmante nella sua apparente semplicità eppure così clamorosamente emozionante, con il suo sciabordio di onde malinconiche che riescono davvero a descrivere e trasmettere la doppia anima, struggente e maestosa, della stagione a cui l’album è dedicato.
Oscure e soffocanti visioni che lasciano il posto a pause inattese in cui la tensione si scioglie in atmosfere poeticamente declinate, dissonanze tempestose che circondano, senza alterarne mai davvero il ritmo, i battiti di un cuore dalle spiccate pulsazioni melodiche, Winterreise è un album che punta dritto, e con ottime credenziali, a un posto d’onore tra le uscite post-metal di questo 2023. Se, proverbialmente, due indizi sono una coincidenza ma tre fanno sicuramente una prova, non ci sono più dubbi, i Lethvm sono definitivamente entrati nell’élite del genere.
(dunk!records, 2023)
1. Blank
2. Pretence
3. Torrents
4. Carved
5. Mournful
6. Night