Tante sonorità travolgenti, ma anche delle sorprese nascoste nel venticinquesimo numero di Screamature. Introduzione senza compromessi con il deathcore misto ad hardcore degli Psycho-Frame, al loro esordio, mentre in seguito c’è spazio per un lavoro eclettico, uno split che coinvolge quattro band: Great Falls, Dug, Canyons e Don’t Grow Old. Si continua su territori eterogenei con i POLYACHi, e il loro incastro intrigante tra sludge e punk, mentre nella seconda metà dell’articolo troviamo tre lavori che, salvo qualche apertura atmosferica, sono accomunati da un impatto diretto. Prima la demo di debutto dei Total Fraud non lascia prigionieri con la sua via di mezzo tra hardcore e noise rock, poi gli Un Automne de Plus catturano l’attenzione con l’intensità del loro screamo dalle sfumature post-rock e infine i Ясность (Lucidity) sono un nome da tenere sott’occhio nel panorama screamo/emoviolence.
Articolo a cura di Davide Brioschi (Psycho-frame, Great Falls/Dug/Canyons/Don’t Grow Old), Antonio Sechi (POLYACHi, Total Fraud) e Jacopo Silvestri (Un Automne de Plus, Lucidity).
Psycho-Frame > Remote God Seeker
(12″ – Wax Vessel)
Deathcore violento come solo i primi anni duemila hanno saputo partorire e hardcore lanciato alla velocità di un treno sono gli ingredienti principali di Remote God Seeker, EP d’esordio degli statunitensi Psycho-Frame, gruppo di pazzi assatanati capaci però di dare una sana rinfrescata ad un genere che molti danno per superato. Il breve album, sei tracce per venti minuti di verace ultra-violenza acustica, è più assimilabile alla ripetuta esplosione di una doccia di granate attorno alla testa piuttosto che ad un susseguirsi di note e vocalizzi: non un attimo di pausa tra le canzoni né all’interno delle stesse, in un continuo affastellarsi di riffoni death e sventagliate hardcore, le affilatissime chitarre che si distendono come squame su un’impalcatura di snare drums e blast beat come non ne incntravo da quando ascoltavo lo slamming brutal alle superiori. Talmente ignorante da sentirsi offesi. I suoni e le linee melodiche di Remote God Seeker sono comunque quello che sono, soffrendo di tutti i limiti di un genere – il deathcore – non proprio invecchiato benissimo. Gli Psycho-Frame riescono però a scrostarlo della ruggine accumulata negli ultimi dieci anni, regalandoci una scrittura variegata e un suono a tratti parecchio sporco, che molto deve all’hardcore punk e poco ricorda la pulizia chirurgica dell’”originale”. Insieme al capolavoro con cui ci hanno benedetti gli Acacia Strain, probabilmente la miglior produzione core dell’anno (fino a qui).
Great Falls/Dug/Canyons/Don’t Grow Old > Stranded
(12″ – The Ghost Is Clear Records, Learning Curve Records)
Un sorprendente assortimento di hardcore e screamo quello che ci viene servito, come sul banco di una macelleria, tra quarti di timpano e tocchi di padiglione, nel 4-way-split Stranded, interpretato da Great Falls, Dug, Don’t Grow Old e Canyons per la Learning Curve e la The Gost Is Clear. Si inizia con l’hardcore sincopato dei primi, a cui non siamo nuovi su questa rubrica, che tanto deve al blackgaze e al math, sapendo risultare unico e sempre fresco pur non emergendo mai davvero – e di questo ci dispiace – dalla popolatissima selva del genere. Si prosegue con i Dug, che ci proiettano nel panorama sonoro di “I Have a Right to Destroy Myself”, che si costruisce piano, stendendo i propri sentieri e colpo di sventagliate drone e potenti colpi di grancassa, a ricordare certi lavori degli Swans. Nel marasma, una strascicatissima voce ci trascina verso “Rest”: un riff sludge ci attira piano e poi catapulta in un calderone doom drone, che termina con un arrangiamento di fiati quasi jazz. Sperimentazione pura. Il blackened/post hardcore effuso di screamo anni ’00 dei Canyons passa abbastanza senza colpo ferire, rivelandosi un ascolto comunque interessante soprattutto nella seconda parte di “Bayak”. A chiudere il lavoro arrivano i Don’t Grow Old, violenti e scomposti, dal suono impeccabilmente sporco. Il loro post hardcore è febbrile e malato, aggiungendo ai capolavori di genere chez La Dispute e Converge qualcosa di impalpabile, che ricorda il death metal moderno. In questo breve album c’è talmente tanta ciccia che non ascoltarlo, fidatevi, è davvero un crimine.
POLYACHi > THE SiCKNESS GETS WORSE
(Digital – Autoprodotto)
I POLYACHi da Cedar Rapids sono gente che al primo ascolto ti viene in mente di definirli strani, disturbanti, ma questo era chiaro sin da Every Little Bit Hurts (precedente lavoro). Questo curioso matrimonio tra punk e sludge portato a noi con carattere scanzonato e quasi psicopatico risulta davvero efficace, anche quando si maschera da raffinato prodotto nato bel suono (e per altro è proprio in quel caso che risalta di più la sua natura sciamannata). THE SiCKNESS GETS WORSE appare quasi robotico in alcune parti, prendendo delle fattezze che sembrano un mostro di Framkenstein messo in piedi con parti di Tool, Queen Of The Stone Age, Melvins e Rudimentary Peni senza dimenticare i più alienati Korn a cavallo tra i secoli e banalmente soluzioni vocali che ricordano i Red Hot Chili Peppers. Ho reso l’idea di quanto possa essere storta la musica di questi qua? Colpisce molto il fatto che la band non si pone il problema della lunghezza dei brani (alcuni estremamente brevi e altri abbastanza lunghi), è chiaro che hanno uno spirito compositivo molto elastico, ma una cosa è certa assolutamente: che sanno fare musica come pochi se si tratta di sperimentazione. All’interno del lavoro troviamo anche traccie ambient incredibilmente destabilizzanti con voci robotiche a dritto e a rovescio. Il tutto è talmente strano da essere decisamente complesso descriverlo. Sarebbe meglio ascoltarlo e farsi la propria idea.
Total Fraud > First Demo
(Tape – Heavenly Vault)
Freddo e lancinante, si presenta così il demo dei Total Fraud, nonostante questo, la musica racchiusa in questo brevissimo lavoro dimostra di avere un corpo solido, fatto di cruda potenza e totale incuranza nei confronti di chi se lo ascolta. Tra feedback che dilaniano il cervello, urla assolutamente bifolche, riff che non hanno superato la terza elementare e drumline che sgarravano assieme ai riff. Ma in fin dei conti lo spirito e la rabbia ci sono tutti, l’attitudine pure e otteniamo un lavoro degno di essere ascoltato perché l’hardcore tipicamente 80’s e una sorta di noise rock qui si fondono magistralmente per creare una chimera nefasta e corrosiva che da gusto ascoltare, penso sia il caso di aspettare qualcosa di prodotto un pochino meglio perché le potenzialità ci sono tutte.
Un Automne de Plus > Construire.
(CD – Autoprodotto)
Dopo un periodo di attività tra 2010 e 2016 in cui hanno pubblicato tre EP, un singolo e un album, gli Un Automne de Plus sono stati inattivi per diversi anni, fino all’anno scorso. Nel 2022, infatti, è uscito Revenir., che non a caso in francese significa “ritorno”, e la band parigina ha dato nuovamente modo di esprimersi all’impatto catartico del proprio sound a metà strada tra screamo e post-rock. A un anno di distanza i Nostri hanno reso disponibile un ulteriore EP, Construire., seconda parte di tre, con l’ultima che uscirà nel 2024, e l’intensità del precedente lavoro anche in questo nuovo capitolo della loro carriera lascia il segno. Ciò che spicca nel sound del trio francese è l’alternarsi di passaggi grezzi e sferzanti ad altri momenti atmosferici e malinconici, tra arpeggi e sample. Proprio gli inserti campionati sono un elemento essenziale dell’ascolto, e si uniscono alle trame strumentali con una naturalezza considerevole. Eccezion fatta per intro e outro poste agli estremi dell’EP, gli altri brani sono strutturati praticamente allo stesso modo: partono dritti al punto come una manata in faccia, per poi lasciarsi andare verso queste aperture atmosferiche, a tratti enigmatiche. Construire. conferma il valore degli Un Automne de Plus, una perla nascosta dell’underground francese.
Ясность (Lucidity) > Минское море (The Minsk Sea)
(12″ – Zegema Beach Records)
Un altro recente ritorno è quello dei Ясность (Lucidity), o almeno dei loro membri. La band, infatti, è sulla carta al debutto con questo Минское море (The Minsk Sea), però i tre membri che ne fanno parte precedentemente suonavano nei Улыбайся ветру (Ulibaysya Vetru), che con un sound incisivo tra screamo, emoviolence e accenni mathcore sono stati una formazione di rilievo nel panorama russo dello scorso decennio. Il legame tra i due progetti è lampante, anche lo stile di questo nuovo EP riprende il binomio screamo/emoviolence ed è irruento, viscerale e soprattutto travolgente con la successione granitica dei sette brani che lo compongono. L’unico accenno di tranquillità si trova con “Напутствие” (A Parting Word), canzone più lunga del lotto con i suoi tre minuti e mezzo (tutte le altre non superano i due), che implementa dei passaggi più distesi e un’alternanza accattivante tra distorto e pulito, che non stona nel contesto, per il resto l’incidere dei pezzi è veemente. Sì, è vero, ci sono degli spezzoni in pulito qua e là, ma illudono soltanto a momenti di tranquillità: nemmeno il tempo di accorgersene e i riff tornano a imporsi senza esitazione alcuna. Questo EP, con la sua struggente emotività abbinata a un’aggressività incontenibile, è una delle uscite più interessanti della prima metà del 2023 in questo ambito.