Decimo album per la band di Robin Staps e uno stacco stilistico piuttosto netto con il passato. Holocene è stato composto in piena pandemia e a differenza dei lavori passati le prime bozze sono stati composte dal talentuoso Peter Voigtmann, uomo dietro ai synth del collettivo. Robin, appena capito il potenziale delle prime demo, ha imbracciato la chitarra pieno di idee per approcciare questo nuovo materiale e così è partito il processo di scrittura dell’ultima fatica dei The Ocean.
Il mood del primo brano bene introduce il suono del disco: le pulsazioni ritmiche del synth aprono le danze in “Preboreal” e subito si capisce come l’approccio stilistico sia diverso dal passato. Le chitarre non giocano più un ruolo fondamentale nella scrittura e piuttosto valorizzano il brano con arpeggi e passaggi aperti. Anche le vocals ora sono più intimiste e per chi scrive questa nuova veste meno tecnica di Loïc Rossetti è una vera e propria sorpresa. Lo stesso approccio lo si può sentire in “Boreal” e “Sea of Reeds”, brani dalla durata relativamente breve che puntano sull’atmosfera con rarissime increspature date dalle chitarre. Proseguendo l’ascolto, “Atlantic” porta la band in territori downtempo che portano alla memoria i migliori momenti del trip hop di casa a Bristol. Il brano riesce a mescolare sapientemente elettronica e irruenza nel suo lungo svolgersi che culmina in un muro di chitarre e nell’epica chiusura che rimanda ai Cult of Luna. Questo approccio meticcio trova la sua massima espressione nella devastante “Unconformities”, che prende le sonorità dei Portishead grazie all’ottima perfomance di Karin Park, per poi traghettare chi ascolta in un vortice post-hardcore con un Rossetti in stato di grazia che stravolge e rende esasperato lo svolgimento della traccia; un brano di rottura sapientemente inserito nella scaletta del disco. Le tracce finali, più vicine al sound classico della band, chiudono un disco che dimostra come il collettivo non ha paura di mettersi in gioco e riesce a rinnovarsi stravolgendo ma mantenendo coerente la propria proposta rispetto al passato. Il tutto con una enorme maestria negli arrangiamenti, basti pensare al lavoro fatto dal trombone di Steve Thompson che accompagna ogni traccia in maniera superba. Infine, come era lecito aspettarsi, la produzione dell’intero disco è assolutamente fuori scala con suoni caldi e ben definiti.
Holocene è un album di rottura che sicuramente farà storcere il naso a chi dalla band si aspettava un muoversi cauto nel proprio genere di appartenenza. Per chi scrive non solo è un gesto di enorme coraggio ma la cosa più entusiasmante della band dai tempi di Precambrian. Tra i dischi dell’anno.
(Pelagic Records, 2023)
1. Preboreal
2. Boreal
3. Sea of Reeds
4. Atlantic
5. Subboreal
6. Unconformities (feat. Karin Park)
7. Parabiosis
8. Subatlantic