Salve a voi, fan sfegatati dei Motorpsycho. Volevate qualcosa di diverso? Eccovi accontentati finalmente, in apparenza per lo meno. Salute anche a voi, ascoltatori distratti del gruppo in questione o novizi: possiamo dire di avere tra le mani un lavoro che potrebbe rendere bene l’idea di cosa sia stato prodotto da parte di uno dei più iconici progetti musicali nel corso di vari decenni. Yay! è un lavoro che offre, in piena contrapposizione alle cavalcate psych-prog cui eravamo largamente abituati da un bel po’, composizioni volutamente più corte, catchy e acustiche.
Il principale pregio di questo disco è infatti quello di dare finalmente spazio a alcuni elementi distintivi dei nostri e lasciati un po’ troppo sotterrati nel corso delle ultime elucubrazioni di dischi come The All Is One o The Crucible, alla lunga poco memorabili, se confrontati con il catalogo poco più che trentennale del combo norvegese. Il lavoro è infatti pervaso da pezzi interamente composti e eseguiti con chitarre acustiche (finalmente utilizzate per pezzi che non siano filler), armonie vocali, percussioni e cura negli arrangiamenti psichedelici dal sapore lo-fi nostalgicamente anni Novanta, il tutto condito da una fresca e sentita ispirazione. Ma guai a pensare a un mero ritorno alle origini: la composizione e le strutture dei pezzi non si discostano praticamente per nulla da quanto prodotto nei lavori degli ultimi dieci anni. Più che alle tipiche atmosfere da stanzetta colma di candeline accese e calzini sparsi, i riferimenti sono piuttosto da ricercare in quel rock americano cantautoriale elettro-acustico anni Sessanta-Settanta à la Crosby, Stills & Nash, oppure nei momenti più positivi – con ovvie licenze da recensore – di Nick Drake o nelle derive psych-blues di Neil Young, mai troppo nascosta influenza seminale di Bent Sæther. Pezzi come “Cold & Bored”, “Sentinels” o “W.C.A.” suonano infatti ariosi e sognanti, colmi di melodie azzeccate, mellotron imperanti e arrangiamenti orchestrali in realtà delicati e mai estremamente pomposi; altri come “Dank state”, “Real Again”, “The Rapture” e “Loch Meaninglessness & the Mull of Dull” suonano più nostalgici, a tratti più malinconici, ma non meno emozionanti nel percorso tracciato all’insegna del tatto e dell’eleganza verso una certa pace interiore e tranquillità d’animo. Una menzione d’onore va al singolo “Patterns”, ballata psichedelica che si muove in una zona (di luce) tra i Beach Boys, i Mercury Rev e i Pavement (avete già notato il non troppo velato omaggio a Wowee Zowee, vero?) e reminiscente di certe soluzioni esplorate nei primi dischi di ispirazione surf-pop nei primi anni Duemila. A differenza di questi ultimi lavori si notano una maturità e una consapevolezza diversa, rivolte più a una ricerca del bello – nel senso più filosofico e innato – verosimilmente reazione agli ultimi anni di pandemia e incertezze. L’unico momento un po’ più movimentato e debitore dei lavori più recenti è “Hotel Daedalus”, che rappresenta sicuramente il momento più epico e midtempo, ma anche quello che espone maggiormente il fianco alle critiche già largamente esposte negli altri articoli dedicati ai Motorpsycho.
Quindi in realtà nulla di nuovo sotto il sole, se non un cambio cruciale nelle intenzioni che non può non far piacere, soprattutto a tutti gli orfani di una certa sensibilità ispirata che occorre sia riesumata molto più soventemente, al di là del mestiere.
(Det Nordenfjeldske Grammofonselskab, 2023)
1. Cold & Bored
2. Sentinels
3. Patterns
4. Dank State
5. W.C.A.
6. Real Again (Norway shrugs and stays at home)
7. Loch Meaninglessness & the Mull of Dull
8. Hotel Daedalus
9. Scaredcrow
10. The Rapture8.0