Lo confesso in tutta onestà e franchezza, non sono un amante dei super-gruppi composti da fuoriclasse pentagrammatici impegnati in progetti paralleli al di là delle canoniche militanze nelle case madri, a maggior ragione quando per queste escursioni la scelta è quella di avventurarsi su coordinate artistiche distanti da quelle abitualmente proposte. Non si tratta, ovviamente, di un problema di qualità ma più banalmente del rischio che tutto si riduca ad una sorta di divertissement a cui dedicare tutt’al più ritagli di tempo libero nelle pause concesse dai cimenti in studio o live sotto le insegne di altri moniker, con la concreta possibilità di non riuscire mai a sviluppare un percorso e di non sfruttare tutte le potenzialità, limitandosi a rilasci-spot su cui inesorabilmente si accumula la polvere del tempo e dell’oblio. Fortunatamente, però, la musica ha il potere di alzare le spalle e tirare dritto senza curarsi minimamente delle idiosincrasie di un recensore, a cui a questo punto non resta che cospargersi il capo di cenere e provare a organizzare una pur traballante difesa azzardando un timido “salvo qualche eccezione”.
E alla categoria “eccezioni” iscriviamo subito i Bottomless, terzetto d’assi tricolore che, con l’omonimo debut di due anni fa, si era coraggiosamente avviato su rotte doom tradizionali sfuggendo alla tentazione di appiattirsi su abusati cliché o, peggio, di ridursi alla dimensione-clone a uso e consumo di qualche dinosauro rimasto attardato nel mito di ipotetiche età dell’oro del genere. Da allora, diversa acqua è passata sotto i ponti delle band da cui provengono i componenti della line-up, (con l’inossidabile duo Giorgio Trombino/David Lucido capace di festeggiare con il classico botto il decennale di attività degli Assumption grazie al magnifico Hadean Tides e con Sara Bianchin sempre più magneticamente assisa sulla tolda vocale del vascello Messa, come abbondantemente certificato da un capolavoro del calibro di Close), ma evidentemente il carburante creativo a disposizione è tutt’altro che esaurito e, anzi, consente di alzare ulteriormente l’asticella e andare oltre i paletti fissati all’esordio. Anche stavolta, la formula scelta per questo The Banishing è quella di un doom dal sapore antico, intriso di suggestioni hard rock di scuola settantiana a cui si aggiungono equilibrati riflessi psych e una delicata vena occult che intercetta alla perfezione i temi trattati nell’album, dalla magia alla morte, dalla memoria perduta alla malinconia. All’interno di un simile perimetro, risulta quasi inevitabile perdersi nel labirinto dei potenziali richiami e delle citazioni che, soprattutto alle orecchie dei navigatori più attempati, non mancheranno di affacciarsi tra i solchi, ma il consiglio è quello di andare oltre le tentazioni archeologiche (dietro cui nascondere magari malcelati sfoggi di cultura figli di un’assidua e datata frequentazione del genere), puntando piuttosto su un completo abbandono a un flusso sonoro che ha tutte le carte in regola per coinvolgere ed emozionare anche senza riconoscere a ogni piè sospinto sullo sfondo le ombre di Black Sabbath, Pentagram, Candlemass o Solitude Aeturnus (a cui, come per il debut, continuiamo ad aggiungere i Saint Vitus come maestri di asciuttezza ed essenzialità). Rispetto al passato, oltretutto, si sono ridotti i già tutt’altro che numerosi momenti di relativa caduta della tensione e, se a questo sommiamo un ulteriore miglioramento nella scelta dei tempi per l’entrata in scena di sua maestà il riff (sempre annunciato e preparato da un lavoro sopraffino della sezione ritmica), il risultato non può che essere da applausi. Neanche a dirlo, la ciliegina sulla torta è ancora la prova al microfono di Giorgio Trombino, con il suo clean cantilenato in grado di spaziare dal registro malinconico a quello epico lasciando sempre un’impronta personale e inconfondibile, forse anche più significativa di quella impressa sul fondo degli abissi growl nella casa madre Assumption. Otto tracce per un ascolto complessivo di poco superiore ai quaranta minuti, The Banishing si apre subito coi fuochi d’artificio dell’opener “Let Them Burn”, che spalanca immediatamente il portale spazio-temporale hard rock in cui i Bottomless ci scaraventano per farci riemergere in piena epopea seventies, tra accelerazioni e rallentamenti improvvisi in spasmodica (e puntualmente premiata) attesa di un ricamo di sei corde che completi il programma. Da questo momento in poi, ogni stazione del viaggio rivendica più che fondati motivi per una sosta, a cominciare dall’atmosfera tormentata e dai cambi di ritmo in serie di “The Great Unknown” per passare all’andatura compassata dell’altro singolo rilasciato in anteprima dalla label, “Stand in the Dimming Light” o al trionfo del vintage d’autore in forma quasi “corale” (Boston?) in “By the Sword of the Archangel”, con un assolo che strizza l’occhio a contributi prog. Se invece si preferiscono fumi, vapori e architetture monumentali, ecco apparecchiata la densità cerimoniale di una “Illusion Sun”, così come, all’altro capo dello spettro sonoro, non fallisce il bersaglio la travolgente “Dark Waters”, capace di regalare scosse salutari a chi si fosse per caso dimenticato che il doom è (anche) energia allo stato puro. Volendo individuare i possibili vertici di un platter comunque adagiato su un altopiano qualitativo impeccabilmente uniforme, ci permettiamo di suggerire, per la sua disarmante semplicità giocata in meno di tre minuti, la notturna e malinconica ballad acustica “Drawn Into Yesterday” e, con più che motivate pretese di best of dell’intero lotto, la splendida “Guardians of Silence”, perla teatrale della compagnia in cui i Nostri attraversano l’intero cielo doom infiammandone tutti i quadranti stilistici… e trascinando noi con loro.
Un terreno su cui ormai pochi temerari osano avventurarsi, un genere che, declinato nella sua forma classica, si è trasformato in oggetto di culto e devozione rinchiuso in una teca votiva che ha finito per soffocarne gli aliti vitali, The Banishing è la plastica dimostrazione di come, quando ci si trova al cospetto di artisti straordinari, non esistano confronti col passato che possano oscurare la luce che si sprigiona dai solchi di un album da applausi. Davvero un grandissimo ritorno sulle scene, il doom tradizionale può ormai contare a occhi chiusi, sui Bottomless.
(Dying Victims Productions, 2023)
1. Let Them Burn
2. The Great Unknown
3. Guardians of Silence
4. Stand in the Dimming Light
5. By the Sword of the Archangel
6. Illusion Sun
7. Drawn Into Yesterday
8. Dark Waters