Si è molto parlato di questo album, al punto che il disco in quanto tale, unica vera discriminante a cui fare riferimento, ha rischiato di passare in secondo piano per il grande clamore che ha suscitato. Il mio timore andava proprio in quella direzione: quella dell’esaltazione collettiva che impedisce di essere obiettivi, di avere un approccio sincero e non condizionato da elementi esterni. Ho scelto proprio per questo di isolarmi temporalmente, congelando il disco nel suo momento di massima esaltazione, e riprenderlo “a freddo”, non avendo l’album una sua data di scadenza.
Ora che il distacco emotivo si è consumato, posso senza dubbio affermare che per una volta il clamore mediatico era, ed è, assolutamente meritevole di tutte le attenzioni che ha suscitato. Further In Evil è un album intenso e sofferto, figlio di un approccio decadente di grande profondità emotiva. Un’autentica – e graditissima – sorpresa che, senza compromessi di sorta, riesce a conquistare immediatamente, sin dal primo ascolto.
L’opera ha la forza di sfidare il male guardandolo dritto negli occhi, e lo fa con un approccio autenticamente sofferente, che si rivolge al dolore interiore, quello vero, quello con cui, prima o poi, bisogna scendere a patti. Caratterizzato da una “semplicità” di fondo che sposa perfettamente l’idea di “attacco diretto” si rivela nerissimo sotto tutti i punti di vista. Istintivo e ruvido, guarda a chi non ha voce e non può gridare la propria pena, con piglio autoritario e deciso. La sua riproposizione, contestualizzata ai giorni nostri, di quell’immaginario nordico con cui noi cinquantenni siamo cresciuti, è esattamente ciò di cui sentivamo il bisogno. Complimenti dunque a Marthe per averci riportato laddove siamo nati.
(Southern Lord, 2023)
1. I Ride Alone
2. Dead To You
3. Further In Evil
4. Victimized
5. To Ruined Altars
6. Sin In My Heart