Venter på stormene, folgorante esordio del 2012, e poi più nulla fino a questo 2024: questa è la carriera discografica dei norvegesi Vemod, trio fondato dal chitarrista, voce e mastermind Jan Even Åsli quando aveva poco più di 12 anni (2002). Eppure è bastato poco per far crescere intorno al gruppo un alone di mistero, interesse per delle sonorità mai troppo incasellabili, e attesa per un follow-up che finalmente è arrivato e che porta il nome di The Deepening. Se dovessimo cercare dei paragoni musicali con i Vemod potremmo trovarli in prima battuta in Alcest e nei connazionali Enslaved. Con i francesi i Nostri condividono l’amore per le melodie malinconiche che si traducono spesso e volentieri in dilanianti fughe post-black, che si dissolvono poi in parentesi languide e sognanti; con gli Enslaved invece c’è in comune l’amore per il progressive settantiano, in questo caso utilizzato in maniera se possibile ancor più omogenea e integrata nel corpo dei pezzi. A ben ascoltare però ci sentiamo di tirare in ballo anche i Wolves in the Throne Room, per la portata catartica delle canzoni presenti in The Deepening, che seppur con durate piuttosto impegnative scorrono via con piacere ipnotizzando l’ascoltatore e trasportandolo ora sulle rive di un freddissimo fiordo, spazzato da sferzanti venti, ora in mezzo a fitte foreste dall’inebriante profumo di conifere… E perché no, anche i The Flight of Sleipnir, di nuovo per quelle capacità così naturali di amalgamare il progressive spaziale dei Pink Floyd con un black metal feroce, primordiale e sciamanico.
La proposta dei Vemod è comunque assai unica e particolareggiata, richiama tanti riferimenti senza mai tirarne in ballo uno in particolare, e anche in questo sta la gran forza di The Deepening, suonare subito così familiare e allo stesso tempo fresco e, perché no, orecchiabile. Senza mai annoiare tra l’altro, cosa non da poco per un disco che vede al suo interno due tracce che si attestano intorno al quarto d’ora, due intorno ai dieci minuti e solo due momenti di introduzione/transizione da nemmeno due minuti. Nella capacità di miscelare sonorità e umori diversi pur mantenendo salda la rotta del vascello il trio ricorda molto gli Agalloch, che da un punto di vista compositivo si avvicinano molto ai Nostri. Prendete ad esempio la transizione posta a metà di “Der guder dør”: dopo un incipit di feroce black metal si arriva, senza sapere bene come, ad una parentesi acustica e malinconica tipicamente agallochiana, con quelle chitarre in clean molto sullo stile di The Mantle, che supportano un clean maestoso ed evocativo che chiude di fatto il brano. Struttura analoga anche nella successiva “True North Beckons”, con una seconda parte stavolta forse più incline alle fughe del post-black metal, genere che trova probabilmente il suo apice con la conclusiva title-track, una lotta continua tra aperture di luce e tenebre improvvise, un gioco di luci ed ombre che duellano incessantemente e armonicamente come ben raffigurato dalla copertina stessa dell’album. E non scordiamoci di “Inn i lysende natt”, una dichiarazione d’amore nei confronti del progressive settantiano tradotta in un linguaggio a metà strada tra desertico dark rock e, di nuovo, post-black metal: quasi sette minuti di pura beatitudine.
The Deepening se ne è uscito dal nulla, un disco che oggettivamente nessuno si aspettava, ma che siamo certi figurerà nelle classifiche di fine anno di molti. I Vemod hanno compiuto un mezzo miracolo non c’è che dire: pochi sono i gruppi che riescono a suonare così sinceri, coinvolgenti e appaganti senza annoiare un solo istante, ispirandosi magari ad altri, ma riuscendo a distillare un’originalità di fondo a tratti sorprendente.
(Prophecy Productions, 2024)
1. Mot oss, en ild
2. Der guder dør
3. True North Beckons
4. Fra drømmenes bok I
5. Inn i lysende natt
6. The Deepening