“Il secondo quarto di secolo di carriera degli On Thorns I Lay inizia con un grande spettacolo, a non troppi passi di distanza dalla perfezione.”. Ci eravamo espressi così, tre anni fa, a consuntivo della recensione di Threnos, autentico gioiello di una band che, dopo innumerevoli peripezie stilistico/biografiche e un silenzio ultradecennale, già con l’accoppiata Eternal Silence/Aegean Sorrow aveva trovato la forza di rimettersi in cammino e ritagliarsi uno spazio tutt’altro che trascurabile, solcando convintamente rotte doom/death ad alto tasso melodico e dimostrando che non di sole foreste di betulle, nebbie, nevi e aurore boreali si deve necessariamente nutrire il genere per avvicinare la dimensione del capolavoro. Certo, stiamo comunque parlando di una scena metal di primissima qualità come quella greca, ma crediamo che pochi, dopo un eventuale ascolto “al buio”, azzarderebbero una collocazione mediterranea per un combo così perfettamente a suo agio tra atmosfere e sonorità usualmente patrimonio genetico di moniker del Grande Nord.
A tre anni di distanza dai fasti di Threnos, i Nostri tornano ora in campo con un lavoro anche simbolicamente significativo, trattandosi del loro decimo full-length in carriera e forse anche per questo la sensazione è che la scelta del titolo suoni come l’orgogliosa rivendicazione di una sorta di “marchio di fabbrica” in grado di rendere ormai più che immediatamente riconoscibile la traiettoria artistica della band (sarà sicuramente un caso, ma resta comunque una stuzzicante coincidenza che anche i Paradise Lost abbiano scelto il decimo album, per far coincidere moniker e titolo del platter…). Con simili premesse, non stupisce che, stilisticamente, non siamo al cospetto di particolari stravolgimenti rispetto all’illustre predecessore e questa è ovviamente un’ottima notizia, anche se forse stavolta l’effetto-sorpresa fa più fatica a imporsi, pur in un quadro complessivo che rasenta comunque l’impeccabilità. Ecco allora la conferma di un impasto death/doom di fondo su cui si innestano potenza e melodia, contribuendo all’edificazione di strutture imponenti che non di rado si ammantano di un velo epic, controbilanciato peraltro da frammenti in cui rivivono quelle pulsioni gothic che avevano caratterizzato i primi lavori degli ateniesi. In tutto ciò, gioca un ruolo fondamentale la prova al microfono del nuovo vocalist Peter Miliadis (l’estrema volatilità della line-up resta un tratto oseremmo dire imprescindibile, con il solo chitarrista Christos Dragamestianos unico sopravvissuto al turnover dei componenti), in grado di sfoderare un’ottima miscela di growl sabbioso e scream acuminato che aggiungono ulteriori mattoni alla monumentalità dell’insieme. Va da sé che i richiami ai totem del genere si sprecano, ma, detto subito che siamo sempre in presenza di echi maneggiati con sommo senso della misura e dell’equilibrio e dunque lontanissimi da qualsivoglia concessione alla derivatività, dovendo scegliere qualche nome per illuminare eventuali viandanti occasionali, puntiamo sulla triade Amorphis, Paradise Lost e Katatonia degli esordi, lasciando in secondo piano qualche riflesso mydyingbridiano che pure si affaccia a intermittenza tra i solchi. Un discorso a parte va fatto per la componente gothic, che una parte non trascurabile della critica tende complessivamente a sopravvalutare, soprattutto se l’intenzione è quella di creare corrispondenze troppo marcate con i fuoriclasse del genere in ambito scandinavo, Draconian e Saturnus in testa. A differenza delle (divine) creature di Anders Jacobsson e Thomas Akim Grønbæk Jensen, infatti, gli On Thorns I Lay riservano uno spazio tutto sommato contenuto agli abbandoni malinconico/crepuscolari che sono terra di conquista per antonomasia a Säffle e Copenaghen, come abbondantemente certificato dalla funzione dei riff, quasi sempre inseriti a pieno titolo nel flusso narrativo e mai “branditi” in modalità stop’n’go con vista sull’abisso. Se gothic dev’essere, conviene puntare piuttosto su una sorta di declinazione “orchestrale” del genere o, ancor di più, sui (troppo?) brevi inserti etnici e folk che strizzano l’occhio alla tradizione greca, creando accattivanti cammei impreziositi da un gran gioco di archi e sei corde acustiche. Sei tracce dalla durata mediamente sostenuta per oltre quaranta minuti di ascolto complessivo, On Thorns I Lay impiega pochissimo a dar fuoco alle polveri, complice un’opener come “Fallen From Grace” che spinge subito a fondo il pedale dell’acceleratore innalzando contemporaneamente monoliti massicci, per un esito in cui velocità e magniloquenza si contendono il proscenio senza vinti né vincitori. Con “Newborn Skies”, al di sotto di un’apparente tempesta, emerge la vena melodica del sestetto, sottolineata da un gran finale in cui brillano le tastiere di Antonis Ventouris, ma è con la successiva “Crestfallen” che si assiste al trionfo di tutti gli assi portanti dell’ispirazione dei Nostri, per un brano multicolore capace di spaziare dalla massima tensione muscolare alla sospensione del ritmo in chiave folk/acustica senza alcuna linea di sutura in bella vista (e qui si realizza un incontro artisticamente da applausi tra Amorphis e gli Swallow The Sun di The Morning Never Came). Al confronto, “Among The Wolves” sembra accampare indubbiamente meno pretese sul versante caleidoscopico della resa, ma attenzione a sottovalutarne le potenzialità, perché, dopo una lunga escursione su altopiani doom e un inatteso assolo di scuola quasi classic metal, ecco una chiusura raffinata ed elegante che culmina in delicati rintocchi di violino. Detto di una “Raise Empires” che, pur senza deludere, fatica un po’ a uscire dai recinti canonici del genere candidandosi al ruolo di anello parzialmente debole della compagnia, a riportare l’album su vette assolute provvede la conclusiva “Thorns Of Fire”, distillato aureo delle carte, quasi tutte vincenti, attualmente in mano alla band. La scelta cade qui su un accumulo di tensione e un’andatura cadenzata alle soglie della marzialità, ma proprio quando sembra che il destino della traccia sia scritto, un improvviso inserto folk ribalta completamente il tavolo, regalandoci un grandissimo finale a metà strada tra epica, coralità orchestrale e spire languidamente voluttuose… e lasciandoci la sensazione di aver vissuto un momento di catarsi.
Potente ma tutt’altro che sprovvisto di anfratti delicatamente poetici, oscuro senza mai essere ammantato da una cappa plumbea che impedisca di guardare un cielo da cui riescono comunque a filtrare luci e colori, On Thorns I Lay è un album che si colloca nel perimetro doom/death conquistando sul campo i galloni della classicità e meritando molto più di una citazione d’obbligo o banalmente d’ufficio tra le uscite di un genere ad alto tasso di frequentazione. Promossi anche stavolta… e anche stavolta a pieni voti.
(Season of Mist, 2023)
1. Fallen From Grace
2. Newborn Skies
3. Crestfallen
4. Among The Wolves
5. Raise Empires
6. Thorns Of Fire