A volte capita di trovarsi in estrema difficoltà nel momento in cui si cercano le parole per descrivere le sensazioni che lascia l’ascolto di un album. Non tanto per la qualità del disco, quanto piuttosto per il “peso” che i cv dei musicisti rischiano di avere. In questi casi, si cerca sempre di andare diretti per la propria strada, senza lasciarsi influenzare dai nomi, più o meno di grido, e dall’idea che talvolta i progetti collaterali possano essere visti come dei riempitivi. Non so, e non mi interessa sapere, se sia questo il caso. Sta di fatto che, a cose fatte, possiamo tranquillamente dire che di un album come Traum c’era davvero bisogno, indipendentemente da chi lo abbia registrato.
L’album è uscito in questi giorni per Subsound Records, etichetta sempre attentissima a ogni tipo di divagazione sonora non convenzionale, e che se ne frega di quelle che sono le indicazioni del mercato. La sua storia più recente mostra il coraggio di osare, sempre e comunque. E sono proprio dischi di grande qualità come questo che sanciscono la bontà delle sue scelte. In questo caso abbiamo tra le mani un ottimo esempio di come si possa sublimare la nostra voglia di “andare oltre” creando un ibrido tra psichedelia, krautrock e parti ambient, il tutto senza perdersi mai per strada per la voglia di strafare. A metà tra il sogno (traum in tedesco) e il viaggio multisensoriale, l’album risente, e si caratterizza proprio grazie ad un approccio collettivo volto a valorizzare la resa finale anziché specchiarsi nei suoi elementi costituenti.
Possiamo quindi, in estrema sintesi, considerare Traum come la perfetta sintesi di come si possa contestualizzare la sperimentazione sonora di un tempo senza perdere credibilità. Una sorta di flusso di coscienza, tanto libero quanto liberatorio, che richiama esperienze (ed esperimenti) soprattutto sensoriali. Un album che è al tempo stesso meditativo, ipnotico e coinvolgente. Un’avanguardia che riesce a unire sonorità tanto – apparentemente – inconciliabili, quanto in realtà lineari nella loro uniformità di fondo, figlia di una libertà creativa che stiamo irrimediabilmente perdendo, in favore di una – troppo facile – dinamica sonora legata alla tecnologia spersonalizzante e fredda che appiattisce, creando dischi tutti uguali, che suonano tutti uguali e che piacciono a persone irrimediabilmente uguali agli stereotipi che dicono di voler fuggire.
(Subsound Records, 2024)
1. Kali Yuga
2. Vimana
3. Katabasis
4. Inner Space
5. Antarctic Dawn
6. Infraterrestrial Dub
7. Erwachen
8. Eterno Ritorno