Un mitico adesivo degli Ancst che ricevetti in dono da un carissimo amico recitava “No blast beat, no applause” e già possiamo anticipare che il collettivo (più che band) berlinese con il nuovo Culture of Brutality non smentisce questo loro motto. Siamo arrivati al quinto full-length per il progetto che oramai ruota intorno al solo Tom Schmidt ma che vide i suoi albori 13 anni fa, e nel tempo gli Ancst si sono affermati tra i grandissimi del blackened hardcore. Nella loro variegata (forse dispersiva, anche) e importante (tantissimi i 45”, gli split e gli EP) discografia hanno saputo spaziare dal black alla dark-ambient mantenendo un’altissima qualità di fondo e, soprattutto, grande coerenza di impostazione sia contenutistica che stilistica.
Tutti gli elementi che hanno reso gli Ancst un punto di riferimento della scena estrema mondiale sono presenti in Culture of Brutality, composto da 20 canzoni molto brevi (solo in 3 pezzi si superano i tre minuti di durata). Non rimarrà deluso, quindi, chi si aspetta di trovare in questo disco la furia del blackened hardcore dei tedeschi. Presenti anche il preciso drumming spesso d’impronta metalcore (mai i Nostri hanno negato l’influenza, per esempio, degli Heaven Shall Burn), passaggi tipicamente crust e d-beat e i testi d’impronta sociale a dimostrare come il sistema capitalistico sia una malattia che colpisce ogni vita e ogni persona (sia a livello fisico che a livello mentale). Ci sono però degli interessanti sviluppi e degli aspetti che apportano delle novità al sound degli Ancst: “Armed With Despise” apre il disco con il blast beat di cui sopra e già si capisce che il gruppo è in forma e il lavoro è prodotto in maniera egregia. Il pezzo è brevissimo e sono gli ultimi secondi a mostrarci una deviazione dal percorso inedita o quasi per loro, ossia uno stop che poi apre a una parte corale che sembra avere piena ispirazione nell’hardcore più tradizionale di impronta East Coast (vengono appunto in mente giganti come Sick of It All e Agnostic Front). La cosa è inedita o quasi, dato che raramente ricordiamo un calarsi così a pieno nell’hc puro (ricordiamo qualcosa dallo split con i connazionali AST o in qualche episodio contenuto in Summits of Despondency). L’album prosegue sui canoni a noi conosciuti senza mai calare di intensità e si riconoscono i passaggi quasi crust e riff di stampo melodic death (pensiamo al Göteborg Sound). È quindi necessario menzionare la quarta traccia, “Spanking Your Laser Brain”, che poco dopo l’inizio ci presenta un paio di break come altri che torneranno nel disco e che prevediamo causare lividi e impacchi di Voltaren dopo le esibizioni live. “Destination Nowhere”, brano numero 6, tocca a mio avviso uno dei picchi dell’album, con la sua breve intro (chissà da quale film o serie è tratta) che ci fa prendere un attimo di fiato per poi travolgerci nuovamente con la furia e l’aggressività che oramai ben conosciamo. Altri due maledetti break ci lasciano inermi a terra e ci piace farsi sottomettere da tale violenza (e soprattutto da quella doppia cassa inumana) mentre ci godiamo il finale molto à la At the Gates. “Vitreous Conformity” è un’altra canzone che si fa apprezzare tantissimo grazie all’alternanza tra le parti (una di queste nuovamente molto NYHC subito dopo la metà). Quasi giunti a metà disco gli Ancst ci illudono con l’inizio lento, doomeggiante, di “Beneath These Hills of Iron” che si tramuta in un assalto crust in piena regola che ci accompagna fino alla fine del pezzo. “Negativity Bias”, “White Criminal” e “Teeth Into Flesh” risentono del fiero background punk/hc degli Ancst che addirittura sfocia in pregevolissime sfuriate grindcore, altro genere che è stato toccato nella loro discografia ma a mio avviso mai così apertamente. Non oso immaginare cosa possa accadere sopra e sotto al palco quando verrà suonata “Edge of Reason”, tredicesimo brano di Culture of Brutality, gran pezzo a tutti gli effetti che in soli due minuti e quaranta ci mostra le capacità compositive e direi anche di sintesi di Tom e compagni, alternando melodia, stralci emotivamente potentissimi e di nuovo uno di quei break annichilenti che tanto piacciono. Arriviamo al brano numero 17 e con “Thanks for Nothing” ci godiamo una nuova cavalcata grind (genere che nella seconda metà del disco noto comparire di frequente). Giungiamo pertanto alla conclusione del disco con l’ultima canzone, “Lowborn Extinction” con il suo testo manifesto e importante ma che musicalmente offre un esperimento vicino allo sludge a mio modestissimo avviso non all’altezza degli altri brani (ma che poco influisce sull’alta qualità generale dell’album).
Gli Ancst sfornano l’ennesimo gran disco che conferma tutto il bene che gira intorno all’operato e alle canzoni di questa grande band. Forse qualcosa della loro ultima evoluzione potrà scontentare i fan più accaniti e diehard del progetto (non credo, onestamente), dato che stavolta Schmidt (che ricordiamo essere unico compositore dell’album) ha lavorato non tanto sul miscelare le tante sfaccettature del tipico suono Ancst ma sembra aver voluto citare o tributare band e generi che lo hanno accompagnato da una vita. Questo ha provocato una bella rinfrescata (magari nemmeno ce n’era bisogno) alla proposta del collettivo sottolineando come grazie alla sintesi si possa riuscire a comprimere in canzoni di brevissima durata riff sia granitici sia melodicamente esaltanti e una ritmica sempre precisissima e persino sadica nella violenza che riesce a sfogare sul malcapitato ascoltatore. Bene Ancst, avanti, avanti, avanti così.
(Lifeforce Records, 2024)
1. Armed With Despise
2. Of Rusty Knives
3. Chasing Horizons
4. Spanking Your Laser Brain
5. Damaged Goods
6. Destination Nowhere
7. Doing Your Part
8. Vitreous Conformity
9. Beneath These Hills Of Iron
10. Negativity Bias
11. Whiteboard Criminal
12. Teeth Into Flesh
13. Edge of Reason
14. Keyboard Wars
15. Icons of Filth
16. Tearless Oblivion
17. Thanks for Nothing
18. Positive Vibes Only
19. Gatekeepers from Hell
20. Lowborn Extinction