Non è facile stare al passo con i Dool; non lo è mai stato, sia chiaro, e l’ultimo parto della band olandese, The Shape of Fluidity, non fa che marchiare a fuoco quella che è la caratteristica principale dell’ensemble guidato da Raven van Dorst: la fluidità.
I Nostri partono da una solida base di occult rock sulla quale innestano senza soluzione di continuità accenni di psichedelia, di prog settantiano, di doom, di darkwave, di desert rock e di post-metal per creare un qualcosa che forse non arriva subito al cuore (per qualcuno magari non ci arriva per niente), e che fa leva essenzialmente sulla sensibilità soggettiva di chi ascolta. Indubbiamente la voce nasale e suadente della van Dorst gioca una parte cruciale nella musica dei Dool: è intrigante, ipnotica, forte ma al tempo stesso flessuosa. Le strutture melodiche e ritmiche costruite attorno alla sua interpretazione ne seguono le inflessioni, i picchi e le cadute (o forse è la voce che si plasma sulla parte strumentale?), e il connubio tra le varie componenti è di sicuro impatto, forse di non eguale importanza per tutte e nove le tracce del lavoro, ma sicuramente notevole. Non si gioca solo sull’orecchiabilità: gli olandesi lavorano per spirali, avvolgono pian piano l’ascoltatore e lo stordiscono, soprattutto quando rallentano le ritmiche per toccare vette epiche di gran magnetismo; la title-track ne è un esempio, un brano che dopo un’apertura sognante e nebbiosa diventa un cupo monolite nelle cui chitarre sembrano riecheggiare i migliori Amenra. Ma è il contrasto tra pesante e leggero, tra bagliore e oscurità, che di fatto premia la proposta dei Nostri, e proprio in questo pezzo questa dicotomia vincente viene fuori con maggiore potenza. “House of a Thousand Dreams” e “Hymn for a Memory Lost” sono altri due esempi di questo tipo, ma a livello di coinvolgimento emotivo non sono certamente da meno anche le più sferzanti “Venus in Flames”, e “Self-Dissect”.
Insomma, per come lo si guardi e per quanto lo si cerchi di capire e di fare proprio, The Shape of Fluidity scivola tra le mani come sabbia rifuggendo qualsiasi catalogazione, e di fatto rispecchiando la natura stessa dei Dool, configurandosi per molti aspetti probabilmente come la creatura meglio riuscita del gruppo. Non è un’opera di immediata assimilazione: chi scrive ha impiegato numerosi ascolti per entrare nel fumoso mondo degli olandesi, ma non si è mai fatta sentire la voglia di lasciar perdere e di bollare il tutto come pretenzioso o inconsistente. C’era una certa magia nell’aria, un profumo sottile ma inebriante che alla fine, per fortuna, è venuto fuori in tutta la sua forza. Date un ascolto a The Shape of Fluidity e perdeteci un po’ di tempo, potrebbe valerne davvero la pena.
(Prophecy Productions, 2024)
1. Venus in Flames
2. Self-Dissect
3. The Shape of Fluidity
4. Currents
5. Evil in You
6. House of a Thousand Dreams
7. Hermagorgon
8. Hymn for a Memory Lost
9. The Hand of Creation