“A sona’ bene so’ bravi tutti”, potremmo dire a proposito di tanti gruppi e musicisti della scena attuale. Il problema, però, è coniugare la raffinata perizia tecnica con una pari abilità nella composizione e in quello che potremmo definire “senso generale” della composizione. Un ottimo risultato in questo ambito mirano a ottenerlo i canadesi Atræ Bilis che con questo Aumicide arrivano alla terza uscita discografica, seconda sulla lunga distanza. I nostri ci propongono un death metal dall’alto livello tecnico e che a un distratto ascolto potrebbe far finire la loro proposta nel genere in cui gruppi come Blood incantation e i connazionali Tomb Mold e Cryptopsy hanno posto degli standard molto significativi e importanti in quanto a qualità (senza considerare che a giugno uscirà il nuovo Ulcerate le cui premesse sembrano ottime).
Andando ad analizzare le canzoni si apprezzano però le varie e riconoscibili stratificazioni del sound del quartetto, ossia Jordan Berglund alla voce, David Stepanavicius chitarra, Miles Morrison al basso e infine Luka Govednik alla batteria. Ed ecco, se nelle precedenti uscite era proprio Govednik a spiccare con il suo drumming fantasioso e ipertecnico, in Aumicide è impressionante il lavoro alla sei corde di David Stepanavicius, appunto tecnicamente preparatissimo ma in grado di eseguire i suoi vorticosi passaggi e fraseggi in modo mai fine a se stesso (come se alla fantasia ritmica di un Trey Azagthoth si unissero gli splendidi accenti e svolazzi di Schuldiner, per dare un’idea). L’intro “Protoxenesis” è appunto un ottimo manifesto di tutto quello che contiene il disco: riffing vorticoso, elegante e fantasioso, ritmiche che alternano passaggi al fulmicotone a stop&go improvvisi, ossia tutto ciò che uno si aspetta da un disco di technical death, ma il senso melodico dei Nostri contribuisce a rendere il tutto di certo non catchy ma apprezzabile anche dai non die-hard fan del genere. “Hell Simulation” ci mostra subito anche la versatilità del cantante Jordan Berglund, che da basi gutturali molto basse e cavernose riesce poi ottimamente a cambiare modulo andando su screaming e parti quasi cantate. A livello musicale si nota grande attenzione alla parte esecutiva ma, appunto, gli intelligenti inserimenti sia melodici che in mid-tempo rivelano come la proposta dei Nostri sia attuale ma con grande rispetto delle lezioni di enormi maestri come i qualche modo già citati Death e Morbid Angel e anche Gorguts e, perché no, Sadus. “Salted In Stygia” è un pezzo con tanto tanto groove e che mostra a pieno sia la versatilità di Berglund quanto i ficcanti breakdown e le parti leggermente più lente dove viene in superficie la cura nell’arrangiamento e nella composizione. “Inward To Abraxas” e “To Snuff The Spirit Guides” niente aggiungono a quanto già detto ma si fanno apprezzare per i continui passaggi di mood che mostrano i Nostri a proprio agio con parti dalla struttura apparentemente più semplice. Il sesto pezzo è la title-track, una breve ed elegante strumentale che apre la parte più apprezzabile di un già ampiamente apprezzabile lavoro, nella quale vengono fuori tutti i pregi del quartetto canadese, abilissimo nell’orchestrare soluzioni molto diverse nello stesso pezzo senza mai risultare noiosi. L’inizio dell’aggressiva “Kingdom Of Cortisol” è molto bello e intelligentemente ritorna nel corso della canzone, alternando soluzioni tipicamente technical death a passaggi deathcore se non persino slam. Il disco si avvia alla chiusura con gli ultimi tre pezzi. “A Monolith Aflame” è, a mio avviso, semplicemente un capolavoro. Il pezzo permette a Stepanavicius di dare sfogo al suo grande gusto melodico e se la prima parte è muscolare e condita da breakdown, si arriva a godere altamente nella seconda metà, quando gli accordi puliti iniziali (che ricordano alla lontana “Pull Me Under” dei Dream Theater) ritornano e portano per mano il brano a un intensissimo crescendo che vorremmo non finisse mai; “Through The Hologram’s Cervix” è un pezzo ignorantissimo all’inizio e che poi mostra di nuovo un chitarrista ispiratissimo che mischia grande shredding con i suoi tipici dissonanti armonici. Il gran finale è con “Excruciate Incarnate” e gli Atræ Bilis ne approfittano per confermare tutto il bene che hanno mostrato e dimostrato nelle altre tracce. La canzone è a elevatissimo alto di difficoltà tecnica, per poi arrivare a una seconda metà più pacata (si fa per dire) e melodica dove i nostri rivelano di essere in uno stato di grazia compositivo.
Che dire? Semplicemente che Aumicide è un gran bell’album. Chi scrive, oramai penso si sia capito, ama i musicisti che coniugano alla perfezione sopraffine capacità tecniche alla cura certosina della scrittura e della composizione. Ecco, i quattro canadesi riescono al meglio a fare tutto questo mostrando, inoltre, grande apertura mentale e di gusti che permette loro di inserire delle scelte sì originali ma che non vanno ad appesantire la struttura dei singoli pezzi. A questo si aggiunge la non eccessiva durata dei pezzi (solo due superano i sei minuti) che rende gli stessi agili e meglio fruibili. Il disco merita davvero tanta attenzione e tanti ascolti ma vi invito a godere appieno di tutte le stratificazioni del sound degli Atræ Bilis, che meriterebbero la nostra riconoscenza anche solo per aver scritto due grandi (grandissimi) pezzi come “A Monolith Aflame” ed “Excruciate Incarnate”.
(20 Buck Spin, 2024)
1. Protoxenesis
2. Hell Simulation
3. Salted In Stygia
4. Inward To Abraxas
5. To Snuff The Spirit Guides
6. Aumicide
7. Kingdom Of Cortisol
8. A Monolith Aflame
9. Through The Hologram’s Cervix
10. Excruciate Incarnate