Lo confesso in premessa, nel profluvio pressoché quotidiano di arrivi in redazione, singoli, EP e split catturano raramente la mia attenzione. Nulla di personale e nessuna crociata contro formati “eretici” rispetto al tradizionale LP, ma, da incrollabile pasdaran di doom e post-metal, è inevitabile che i minutaggi sostenuti (o quantomeno standard) siano per chi scrive un’esca molto più appetitosa rispetto ad approcci in cui la sensazione è quella di un buon riscaldamento in vista di un decollo… che alla fine non arriva. Con simili presupposti, il timore è che la penna del recensore alla fine perda un po’ di oggettività finendo per risultare troppo severa e suggerendo così una prudente astensione. Può capitare però che ti finisca tra le mani il dischetto di una band che in passato hai tenuto sott’occhio ritenendola una grande promessa ma di cui si sono perse le tracce e, un po’ per affetto e un po’ per curiosità, decidi comunque di avventurarti tra i solchi, uscendone alla fine travolto e piacevolmente frastornato.
Stiamo parlando dei Reka, band russa attiva dal lontano 2007 e protagonista di un avvio di carriera ad alto tasso di prolificità, con la pubblicazione di una trilogia in un breve volgere di mesi a partire dal 2010 e con una consolidata presenza sui palchi di mezza Europa, ad aprire i live show di nomi significativi della scena post-metal internazionale. Dopo una partenza scoppiettante, però, complici anche diversi problemi che hanno visto protagonisti i componenti della line-up, i Nostri sono finiti in un cono d’ombra e silenzio da cui sono riemersi solo nel 2019 con l’ottimo Jupiter, certificazione inequivocabile che la qualità dei giorni migliori era tutt’altro che evaporata. Ci si aspettava, a quel punto, una ripresa dell’attività a tutti gli effetti, ma anche stavolta i tempi si sono oltremodo dilatati ed è così trascorso un altro lustro per arrivare finalmente a questo Decadence che pure, lo diciamo in premessa, ripaga ampiamente l’ennesima, interminabile attesa. Anche in questo nuovo cimento la bussola artistica dei Reka è saldamente rivolta verso il post-metal e l’impresa a cui si accingono è davvero titanica, vista la scelta di puntare su un’unica, chilometrica traccia di oltre venti minuti di durata. Per concepire e affrontare una simile avventura servono ovviamente ispirazione e coraggio, doti di cui il combo moscovita ha già dato prova di essere più che fornito e che qui fanno registrare un ulteriore incremento con la chiamata a bordo di due fuoriclasse del metal nipponico a presidiare il comparto vocale. Ecco allora da un lato lo scream appuntito e abrasivo di Ryo Amamiya (già titolare delle quattro corde nei funeral doomsters di Tokyo Funeral Moth) e dall’altro i gorgheggi eterei di Yukiko Watanabe, regina di quel progetto Presence of Soul capace da quasi un ventennio di innestare proficue escursioni in territori dark ambient, shoegaze e doom su una solidissima base post-rock/metal. I solcatori compulsivi delle rotte post- sanno bene che il segreto fondamentale per la riuscita di un album è la capacità di articolare saliscendi emozionali in un’alternanza di vuoti e pieni da cui sgorgano contemporaneamente turbamenti ed estasi e qui davvero siamo al cospetto di una prova impeccabile, esaltata ulteriormente da una struttura “a suite” della traccia, in grado di valorizzare tutti i momenti inserendoli in un flusso visionario/narrativo di grande impatto e coinvolgimento. Volendo individuare possibili paralleli e punti contatto con i sommi maestri del genere, detto che non mancano echi liquidi di marca Isis e più di qualche architettura imponente di scuola Cult of Luna, vale forse la pena puntare soprattutto sulla lezione Amenra, in una sorta di via di mezzo tra le spinte più ruvidamente core della saga Mass e gli ultimi lavori a più marcata apertura atmosferica. In questo gioca un ruolo indubbiamente cruciale la prova al microfono di un Amamiya tutt’altro che lontano dalle vette di allucinazione e straniamento di sua maestà Colin H. van Eeckhout, ma anche la sezione ritmica Igor/Andrei e la coppia di sei corde Denis/Sanya forniscono un contributo non meno decisivo per generare e indirizzare colate di vischioso fango sludge illuminato da riverberi sinistri. Attenzione però a non sottovalutare la componente diafana/immateriale, vera e propria arma letale del platter affidata agli arabeschi vocali di lady Watanabe (magnifica anche in modalità voce narrante fuori campo) e arricchita ulteriormente dai rintocchi malinconici e quasi struggenti del violoncello di Ulyana. Ed è qui, in queste radure poeticamente apparecchiate, che trovano ristoro le fatiche di un viaggio in cui le contorsioni della materia sembrano avvolgere e travolgere tutto, restituendoci la visione del cielo e ricordandoci che il post metal è sguardo sull’abisso ma anche contemplazione di Infiniti e Immensità.
Venti minuti di pozione magicamente distillata di un genere in cui è sempre più difficile scrivere pagine davvero memorabili, venti minuti di emozioni e sensazioni di rara intensità racchiuse in un perimetro formale impeccabilmente concepito e declinato, Decadence abbatte le mura del formato EP regalando un’esperienza coinvolgente e travolgente che altera e smantella la percezione temporale. Resta, comunque, una piccola nota di rammarico per quello che sarebbe potuto essere se i Reka avessero deciso di puntare sulla dimensione full-length, ma anche così ci sono tutti gli elementi per alzarsi convintamente in piedi ad applaudire… e per spendere numeri impegnativi, in sede di valutazione.
(Moment Of Collapse Records, 2024)
1. Decadence