Gli Ellende sono una di quelle band (one-man band, a dire il vero) ingiustamente ancora non del tutto inserite nei circuiti del black metal che conta davvero. Non che il progetto musicale di L.G., al secolo Lukas Gosch, si sia limitato alla pubblicazione di vari album senza insistere sull’attività live, come tanti colleghi del mondo delle one-man band ma, al contrario, conta oltre duecento show, avendo peraltro calcato i palchi di primari festival a livello internazionale. Semplicemente, per la qualità dei prodotti targati Ellende, la fama del gruppo dovrebbe essere di diversa portata. Sì, perchè i Nostri sfornano dal 2011 album di una qualità eccelsa, punti di riferimento per un certo modo di suonare l’atmospheric black e caratterizzando la propria musica con un carico di decadenza e malinconia che non è semplice trovare altrove. La grandezza degli Ellende sta poi nella coerenza complessiva del progetto stesso, inteso come commistione degli elementi musicali, tematici e grafici (a questo proposito è doveroso citare gli artwork degli ormai cinque dischi pubblicati, caratterizzati dalla presenza di una spettrale figura scheletrica e realizzati da L.G. stesso).
Andando con ordine, il presente Todbringerin altro non è che la nuova registrazione del maestoso Todbringer, secondo album della band datato 2016 e, al di là di una produzione leggermente più pulita e qualche lieve variazione negli arrangiamenti e nelle linee vocali di L.G., dovute ovviamente all’unicità di ciascuna registrazione, il prodotto risulta in tutto e per tutto sovrapponibile al precedente. Peculiare ma funzionale è tuttavia la scelta di dividere in due parti i quasi quindici minuti della quarta traccia dell’album originale, “Scherben”, che rappresenta forse il punto più alto dell’intera produzione e che, sebbene in essa sia innegabilmente identificabile un unico filo conduttore, risulta strutturalmente divisa in due parti da una corposa sezione melodica che, nella nuova versione dell’opera, rappresenta l’intro della seconda parte della canzone e permette di isolare al meglio la vetta vocale dell’album, rappresentata dalle grida strazianti di L.G. Per offrire una visione complessiva del lavoro, oltre che degli Ellende stessi, possiamo definire la loro musica come un black metal atmosferico votato a comunicare sensazioni di decadenza e di abbandono, ma anche passione per un passato glorioso caduto in miseria. La grande varietà di strumenti a corda presenti nel disco, tra cui viole, violini e violoncelli aiutano in questo senso a costruire la grande carica emotiva e comunicativa di un album che gioca sapientemente sulla distribuzione e sul minutaggio sempre perfettamente calmierato delle sezioni più ariose e di quelle più dirette, arrivando solo raramente all’adozione di riff, di ritmiche e di strutture di stampo scandinavo.
Recensire Todbringerin, uscito ora per AOP Records e non più per Talheim Records come la versione precedente, significa per chi scrive fare un tuffo nel passato e nelle trame di un disco iconico, spartiacque nelle modalità di interpretare il black atmosferico e unico nella resa emozionale, parametro valutativo cardine per il sottogenere di riferimento. Significa tuttavia anche recensire un album già sentito, studiato, assimilato, che per sua stessa natura e genesi non rappresenta un nuovo tassello nella storia della band. La speranza, riascoltandone le melodie, è che Todbringerin possa portare nuovo lustro a un vero e proprio pilastro dell’atmospheric black degli ultimi dieci anni e possa far conoscere ai più una gemma di rara bellezza, che non viene qui insignita di un voto vicino alla perfezione solo perché non rappresenta, purtroppo, una release nuova di zecca.
(AOP Records, 2024)
1. Am Sterbebett der Zeit
2. Ballade auf den Tod
3. Verehrung
4. Scherben Teil I
5. Scherben Teil II
6. Versprochen…
7. Verachtung
8. Am Ende stirbst du allein