Ogni nuova uscita degli Ottone Pesante è un evento fondamentale per l’underground della nostra penisola. Non tanto per la qualità indiscutibile di quanto riescono a creare con degli strumenti così inusuali per l’estremismo sonoro, ma per il fatto che quello che creano, dal primo fenomenale e seminale EP Ottone Pesante in poi non si è mai ripetuto se non in singoli momenti all’interno degli album stessi che servono a far pronosticare la natura di cosa verrà in seguito al disco corrente. Scrolls of War è sopraffina alchimia del passato della band, ma andando al dettaglio…
Ascoltando Scrolls of War si potrebbe pensare, o meglio si potrebbe cadere nel pensiero (del tutto legittimo, si capisce) secondo cui quello che troviamo non è Brassphemy Set in Stone, non è Apocalips, non è DoomooD e non è …And the Black Bells Rang. La verità è ben diversa. Scrolls of War è tutto questo e ne estrae un materiale nuovo, evoluto, migliore; esattamente come nell’altoforno. No, non voglio usare metafore, non mi piacciono le metafore, se si parla degli Ottone Pesante si parla di qualcosa che è concettualmente e organicamente legato alla siderurgia. Scrolls of War è una nuova e perfetta fusione che molto probabilmente non sarebbe stata possibile senza i tronconi frantumati di Apocalips, DoomooD, …And the Black Bells Rang e (ha senso coinvolgere anche lui) il Subsound Split Series, Vol. 8. Perché analizzando questo nuovo lavoro è facile apprezzare e tracciare quella che è stata la sua genesi. Non è improbabile che, forse, anche involontariamente da parte del trio, il processo abbia visto un forte arricchimento, una rimozione di tutta la ganga presente nei dischi precedenti, rappresentata da tutti quegli elementi che davano ai suddetti lavori le caratteristiche per poter essere inquadrati in un genere effettivo; e non è mancato un palese processo di calcinazione che si nota nella mancanza qui di altri elementi volatili, superflui; un trattamento subito seguito dal fondamentale step di arrostimento e quindi agglomerazione. Ed ecco che abbiamo il nuovo nato. La nuova stampa, incandescente, flottata, raffinata e purificata. Scrolls of War contiene le caratteristiche per mantenere viva nella memoria minerale del suo sound rimandi fondamentali alla sua fruizione che si manifestano nel continuo esprimersi in maniera apocalittica come se si stesse ascoltando un’estensione mirabolante della titanica “The Fifth Trumpet”; nel richiamare a sé le atmosfere nebbiose del crepuscolare DoomooD; nel non lesinare con la veemenza delle composizioni, ma allo stesso tempo mantenendo un controllo semplicemente incrollabile della potenza scaturita; nel continuare il discorso iniziato con “Tentacles” e la voce sferzante di Sara dei Messa e portandolo su un piano decisamente esotico, quasi desertico grazie alle melodie dilanianti di Lili Refrain con “Battle of Qadesh”; nel raccogliere l’eredità delle immagini evocate dalla notturna preparazione alla guerra di “Coiling of the Tubas” e usarla per dare vita a immagini bibliche che si palesano in un alba su una vasta pianura in cui due eserciti pronti alla morte digrignano i denti con le vibrazioni raggelanti di “Men Kill, Children Die” e soprattutto nel non curarsi minimamente di inquadrare tutto questo in un genere definito, cosa che avrebbe senza dubbio inaridito l’opera, rendendola caratterialmente identitaria. Quello che possiamo dire è che questa È un’opera identitaria sì, ma perché basta sentirne una battuta e capire e stabilire senza margine di dubbio che si tratta di un nuovo e strabiliante capitolo di una delle band italiane più straordinarie ora presenti. Ed è un’opera che trova una sua dimensione nel raccontare una storia, si tratta infatti del primo capitolo di una trilogia incentrata sulla storia della musica concepita e realizzata con gli ottoni, una storia che si perde tra miti, leggende e storia fattuale. Non rimane che perdersi in queste aule vibranti in cui storia e musica si fondono per creare un omerico tutt’uno.
Non penso che Scrolls of War sia l’album definitivo degli Ottone Pesante, per poter pronunciare una simile asserzione sarebbe legittimo attendere la fine della band, perché sappiamo per certo che il trio tutto può e lo ha dimostrato in ben otto occasioni. Scrolls of War non è nient’altro che l’ennesimo piolo di una scala che sale, sale fin su dove non è possibile creare musica che non sia quella degli eterni flautisti cosmici.
(Aural Music, 2024)
1. Late Bronze Age Collapse
2. Sons of Darkness Against Sons of Shit
3. Men Kill, Children Die
4. Teruwah
5. Battle of Qadesh
6. Slaughter of the Slains
7. Seven