Il deathcore probabilmente è, all’interno dell’universo della musica estrema, uno dei generi in cui è maggiormente difficile emergere. Ne è una prova il fatto che, a fronte di decine di gruppi che ogni anno si affacciano sul mercato, quelli che ne hanno scardinato gli equilibri, negli ultimi anni, si contano sulle dita di una mano, massimo due. Parliamo, tra l’altro, di gruppi che hanno scelto di affiancare alla brutalità classica del genere anche innesti melodico-sinfonici, componenti orchestrali, clean vocals (con diversi gradi di applicazione, è doveroso citare Lorna Shore, Shadow of Intent e Fit For An Autopsy su tutti), portando il genere di riferimento, come spesso è accaduto nella storia della musica estrema, verso una sua naturale evoluzione atta a smorzarne, più che a inasprirne, gli angoli più acuti. Aggiungiamo che la fama dei gruppi citati, a cui si aggiungono senza difficoltà anche gli Aversions Crown post-ingresso di Tyler Miller e gli Slaughter to Prevail dell’ormai iconico Alex Terrible, è spesso fortemente (e purtroppo ingiustamente, direi) associata prevalentemente alle mostruose abilità canore e alla personalità contagiosa dei rispettivi frontman, aspetti che vanno ad alimentare la percezione di una distanza tra questi titani e il resto della scena. Difficile è poi inserirsi in un contesto in cui, oltre ai menzionati nuovi alfieri, anche la vecchia guardia (Thy Art Is Murder, Whitechapel, Carnifex, Chelsea Grin) non smette di sfornare dischi tritaossa e di riempire arene e festival di tutto il mondo. In che modo dunque i Veiled, neo-formazione britannica da non confondere con l’omonima formazione black metal statunitense, si sono inseriti in un contesto così sfidante e complesso come quello del deathcore di questo terzo decennio dei Duemila? Rispondiamo subito: magistralmente. Il qui recensito SE//CT è, infatti, un esordio coi fiocchi, fulminante, predatorio nel rubare qualcosina da tutti i gruppi sin qui citati e incredibilmente capace nell’inserire ogni elemento all’interno della propria personalissima ricetta. Un disco che non ha paura di osare, prodotto di una band che parrebbe attiva da un ventennio, ma che quando osa lo fa con il dovuto rispetto verso chi ha contribuito – e tuttora continua – a fare da apripista.
Diciamolo sin da subito, il disco è un monolite di quattordici tracce, che alterna brani più corposi ad altri più snelli, inserendo due interludi nei momenti di massimo bisogno e dividendo di fatto l’album in tre atti. Dopo l’intro che presta il nome all’opera, siamo catapultati nell’oscurità dai brani “Forgive Me” e “The Sentence”, che mostrano subito le premesse su cui poggia tutto l’album e tra cui evidenziamo riff classicamente death, ricercate trame di chitarra nelle fasi soliste, breakdown downtempo dilatatissimi di stampo I Killed Everyone, The Acacia Strain e The Last Ten Seconds of Life e una azzeccatissima commistione tra growl gutturali, scream e clean vocals di provenienza metalcore, andando anche a ricercare registri intermedi tra i tre stili. Le successive tre tracce, rispettivamente “Lament”, “Hellbound” e “Deathchoke”, rappresentano la sublimazione dei citati elementi e mostrano ben più di un rimando alla seconda parte della produzione targata Shadow of Intent. La seconda sezione si apre con “The Root Of Mans Impurity”, in cui si rivedono invece stile e sequenze degli ultimi Aversions Crown e apre la strada alla traccia migliore del lotto, la splendida “Tides”, che propone un sinistro sottofondo abissale su cui si innestano in sequenza una serie di breakdown particolarmente elaborati nella prima parte, che ricordano alcune soluzioni proposte dai Make Them Suffer del meraviglioso Neverbloom, seguiti da altri più classici e marziali sul finire della traccia. La successiva “Asphyxiate”, traccia più breve dell’intero lavoro, funge quasi da corollario della precedente e accompagna verso la chiusura della seconda sezione, facendo vedere che i Nostri, se vogliono, sanno fare anche del deathcore incredibilmente classico, diretto, senza compromessi. L’album si conclude poi con “Hear Me, Pain”, “Omen of Torture” e “Reverie” che, proposte consecutivamente, mostrano più di un’analogia con il trittico del primo atto, proponendo prolungate sezioni in uno scream fortemente metallico à la Ethan Lucas degli A Night In Texas e intervallando questo con il cantato “pulito” dei ritornelli.
SE//CT è, in definitiva, un disco deathcore di ottima qualità, che si pone come una tra le release migliori del genere per l’anno in corso, se non la migliore, e permette ai Veiled di imporsi, già con il primo full length, come una tra le realtà emergenti più interessanti del panorama di riferimento. SE//CT è infatti un prodotto che spinge costantemente sull’acceleratore e non ha paura di mostrare i muscoli, proponendosi come un album brutale, coraggioso nell’essere opera prima e non volersi limitare a fare il compitino, oltre che sapientemente costruito prendendo spunto da quanto di meglio la scena ha proposto negli ultimi anni. “Chi copia, ammira”, diceva Roberto Gervaso; chi attinge, si ispira, studia, rielabora, amalgama, fonde quanto appreso e lo valorizza mettendoci del suo fa anche di più, aggiungiamo noi. Bravissimi.
(Seek & Strike, 2024)
1. SE//CT
2. Forgive Me
3. The Sentence
4. Lament
5. Hellbound
6. Deathchoke
7. Testament
8. The Root Of Mans Impurity
9. Tides
10. Asphyxiate
11. The Awakening
12. Hear Me, Pain
13. Omen of Torture
14. Reverie