Alla luce di quanto sia stato scritto e suonato in ambito stoner, è ancora possibile concretizzare qualcosa che suoni fresco e innovativo in questo genere? Io penso di no, non tanto per un fattore di mero affollamento che ha avuto il genere, quanto più per la sua natura stessa, che poco tollera le ingerenze di altri generi, conferendogli una capacità di variazione molto limitata. Va anche detto però che questo è un tipo di discorso che lascia il tempo che trova negli anni Venti del ventunesimo secolo, in cui essere innovativi è questione di genio creativo più che in ogni altra epoca. Va da sé che si tratta di un approccio alla musica davvero troppo accademico, financo pignolo e noi non vogliamo farne uso. Ma allora cosa dire di Ongonga dei padovani Ubris?
Che Ongonga nel piccolo degli Ubris è un fiore all’occhiello attualmente. L’approccio alla scrittura è il medesimo di Hobolo, ma c’è una sostanziale differenza, in questo nuovo nato possiamo godere di quella che sembra una sintonia praticamente perfetta dei quattro elementi. Un’intelligenza collettiva che ha come unico obiettivo il portare l’ascoltatore in un maelstrom di sonorità che sono tempesta di sabbia e roccia. Notevole come il quartetto abbia strutturato l’ascolto, piazzando i brani in maniera che l’esperienza prometta una salita vorticosa (o una discesa vertiginosa) da un pezzo minimale e primordiale come “Yopo”, finendo per trovarsi ad ascoltare un allucinogeno trip cattivo e terrificante quale è “Stramonium”. Si tratta di un disco che mena, mena forte e non si vergogna di risultare tremendamente primitivo nella sua resa caratteriale.
In sostanza è bene, se non fosse stato fatto in precedenza con Hobolo, cominciare ad avere pazienza ed avere un po’ trepidazione per dell’ipotetica nuova musica degli Ubris in quanto Ongonga ha messo in mostra una vera capacità di dare voce a della musica strumentale; non una cosa da tutti direi.
(Deep Sound Records, 2024)
1. Yopo
2. Kukuta
3. Strychnos Nux Vomica
4. Atropo
5. Spartium Junceum
6. Stramonium