Giuditta che decapita Oloferne è un dipinto realizzato nel 1620 circa dalla pittrice italiana Artemisia Gentileschi conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Il soggetto, già affrontato nel 1602 da Caravaggio, fa riferimento all’azione con cui Giuditta prima circuisce e poi decapita Oloferne, il feroce generale nemico, e viene associato al desiderio femminile di rivalsa rispetto alla violenza sessuale subita. Judith Slaying Holofernes è al tempo stesso, al netto di un paragone improponibile, da ridurre a semplice assonanza, il titolo scelto dagli Oldest Sea per il loro nuovo EP, realizzato insieme a Dan Barrett degli Have A Nice Life.
L’EP – un due tracce completamente autoprodotto, al momento disponibile solo in versione digitale – segna, da un lato, il primo, con “All Shall Love Me And Despair”, il ritorno alle origini, da un punto di vista strettamente sonoro, per il duo statunitense costruito intorno alla figura di Samantha Marandola. Mentre sull’altro lato, in “How Could The Same God” emerge netta la nuova strada intrapresa dagli Oldest Sea, vale a dire quella più pesante e radicale, che ribalta la prospettiva, raggiungendo momenti di intensità veramente toccanti. Entrambe le tracce – che speriamo vengano presto seguite da un album che possa estendere il dolore ad un minutaggio più ampio – sono legate, da un punto di vista tematico, a un grido di dolore specificamente femminile. Una tematica che si sposa alla perfezione con le scelte sonore degli Oldest Sea, che riescono a confezionare una decina di minuti di intensità crescente, straziante e fragorosa. Se è pur vero che due brani sono pochi per farsi un’idea di un disco, è altrettanto vero che, allargando lo sguardo e comprendendo anche quel A Birdsong, A Ghost, uscito a fine 2023 per la Darkest Records, possiamo tranquillamente affermare come sia il caso di segnare in evidenza il nome di Samantha Marandola e del suo progetto tra i nomi da tenere d’occhio per il futuro prossimo. Samantha è riuscita a ritagliarsi in pochissimo tempo un ruolo di primo piano in un contesto in cui le donne hanno pochissimo spazio.
Oldest Sea vive di contrasti, e di contrasti si nutre. Con un’intensità che spinge a fondo. E che racconta una cantante che, prima ancora di definirsi tale, si scopre ascoltatrice in grado di prestare attenzione a quello che le capita tra le mani. Un’ascoltatrice che, grazie proprio a questa catarsi emozionale, ha intrapreso un lungo – ma necessario – percorso di sperimentazione vocale che, oggi, ce la consegna come una delle interpreti più interessanti, tra quelle contemporanee. Un’interprete che può vantare una profondità calda ma anche dinamica e seducente, con cui riesce a caratterizzare in modo personalissimo quel folk oscuro e maledettamente sporco che ha scelto come via espressiva. Il suo è un approccio primordiale che trasuda rabbia mentre ci racconta il buio in cui è caduta la provincia statunitense, quella più polverosa e funerea. In cui gli “antichi fiumi” scorrono silenziosi ma inesorabili verso un destino segnato.
(Autoproduzione, 2024)
1. All Shall Love Me And Despair
2. How Could The Same God